Compromesso: con ogni probabilità il 9 luglio la Conferenza dei Servizi autorizzerà la realizzazione di due dei tre forni progettati per bruciare il rifiuto secco di Veritas.
Così si dovrebbe trovare un “salomonico” accordo e si dovrebbe riuscire a portare a casa l’essenziale del progetto che Veritas intende realizzare a Fusina.
La questione di fondo è che Veritas raccoglie circa 160mila tonnellate all’anno di rifiuto secco, cioè quello non differenziato. Una quantità in calo: in cinque anni si sono ridotti del 9%, grazie all’aumento della differenziata e a migliorie nel sistema di recupero.
Ma i numeri sono comunque grandi. In questi anni l’azienda ha trattato il rifiuto secco, passandolo in celle calde che ne azzerano l’umidità, e separando da esso i metalli e gli inerti.
Così ne ha tratto circa 70-80mila tonnellate all’anno, in forma di “trucioli” – fatti per la maggior parte da carta e tessuti – da utilizzare come “combustibile da rifiuto”.
Un combustibile utilizzato poi nella vicina centrale Palladio dell’Enel che, fino a poco tempo fa, l’ha mescolato (nella percentuale del 5%) al carbone per poi bruciare il tutto e produrre energia elettrica.
La crescita della produzione di elettricità da fonti rinnovabili, le crescenti critiche all’uso del carbone e la maggior vantaggiosità del gas hanno però fatto sì che la Palladio prima ha ridotto la sua attività e poi, dal marzo scorso – complice forse anche la pandemia – ha del tutto stoppato la produzione. Centrale chiusa, ferma. C’è un progetto di conversione a gas, da realizzarsi entro il 2025, ma bisognerà vedere.
Così il combustibile da rifiuto resta bloccato, si accatasta in enormi quantità e, alla fine, viene portato in discarica. Con la conseguenza economica che se, da combustibile, il rifiuto produceva un ricavo di 10 euro alla tonnellata, da rifiuto per discarica causa un costo di 100 euro a tonnellata. Da 600mila euro di ricavo annuo a 6 milioni di costo sempre annuo.
Da ciò il progetto di Veritas di bruciare direttamente, con due nuovi forni, il rifiuto secco raffinato e, con un terzo forno, i fanghi civili (esito delle “acque nere”). A fronte di questo progetto sono sorte le proteste – numerose e vibranti – per un progetto che non indurrebbe all’ulteriore riduzione dei rifiuti e alla crescita della loro differenziazione, ma al semplice incenerimento per produrre elettricità.
Ora, il probabile ok a solo due delle tre linee di produzione – quella dei fanghi rimarrà in stand-by – dovrebbe sbloccare lo stallo. (G.M.)