In tanti – c’è chi dice mille, chi duemila – per dire “mi no vago via”: io non vado via da Venezia, perché questa è la mia città, oggi e nel futuro.
È successo domenica 2 mattina, all’Arsenale. E non era scontato che tanti veneziani si ritrovassero, per un evento che dice prima di tutto la volontà di partecipare, di dire la propria sul futuro della città e di chi ci vive.
Ma in questi giorni ci sono anche altri segnali di partecipazione e identità. Per esempio la festa di San Pietro di Castello. Anche quest’anno è “la” festa dei veneziani. È singolare salire in barca per visitare il bacino dell’Arsenale (una delle iniziative promosse nell’ambito della festa) e trovare che più di metà dei partecipanti sono veneziani. Veneziani desiderosi di conoscere la propria città. E poi, finita la visita, lieti di mangiare insieme nel campo della chiesa già Cattedrale.
Ma si potrebbe dire anche dell’Ire che, dopo aver dato residenze dignitose, nei primi anni Duemila, ai veneziani non più autosufficienti, chiudendo quel triste “scatolone dei vecchi” che era la casa di riposo ai Ss. Giovanni e Paolo, adesso sta difendendo la residenza delle famiglie. Anche quelle numerose, con tanti figli, come a Venezia capita non di rado, visto il radicamento delle comunità neocatecumenali.
Ma si potrebbe parlare delle opere pie, come la Zuanne Contarini, che – in silenzio ma con generoso e caparbio impegno che nasce dal Vangelo – continua a dare ospitalità praticamente gratuita a persone anziane, sole e con reddito basso. È solo così che un centinaio di donne possono continuare ad essere veneziane, come sono sempre state. E proprio perché questa silenziosa opera è preziosa, c’è chi si accorge di essa e la sostiene in modo importante, magari con un lascito.
Ecco, questi segnali, che vengono da più parti, dicono che Venezia dei veneziani esiste ancora. Bisogna sostenerla, perché essere veneziani è un valore. Che non c’entra nulla con il profitto.