L’onestà non è il regno degli sciocchi. E la correttezza non è il mare in cui annegano gli ingenui. Onestà e correttezza producono efficienza e risultati, oltreché pace interiore.
Basterebbe essere convinti di queste affermazioni per evitare scandali come quello che, in questi gironi, sta percorrendo le università italiane. Che alcuni concorsi per i docenti siano pilotati, se non truccati, è voce che corre da decenni. E che alcuni “baroni” scelgano chi fare entrare negli atenei non in base al merito, ma secondo altri meno onorevoli criteri, è cosa che si sussurra da sempre.
La differenza, oggi, è che il vaso è stato scoperchiato da qualcuno che ha denunciato dei fatti illeciti e da magistrati e forze dell’ordine che hanno indagato.
Due considerazioni, allora. La prima è occorre un continuo investimento in cultura per convincere che vale la pena essere onesti (e rammarica ancora di più che sia proprio il “tempio” della cultura – l’università – ad essersi dimostrato, in taluni suoi rappresentanti, poco onesto).
La seconda è che una società funziona bene se, insieme all’onestà, può contare sulla fiducia. Fiducia tra colleghi e fiducia tra superiori e subordinati; fiducia per le istituzioni e dalle istituzioni verso gli individui. «Il capitale sociale – scrive Benedetto XVI nella Caritas in veritate – è quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile».