Non molto tempo fa la Pastorale della salute veniva chiamata Pastorale della sanità, con una sottolineatura marcatamente “ospedaliera” e rivolta al corpo, alla sanità fisica. Poi si è riflettuto e pensato che la persona ha altre componenti, oltre al corpo, che hanno bisogno di salute, e che comunque insieme al corpo gioiscono o soffrono (basti pensare alla visione greca dell’uomo composto da corpo – psiche – anima e che insieme concorrono a costituire la persona). Anche nella tradizione sanitaria, un tempo, c’era la consapevolezza che il medico doveva prendere in cura il paziente, al di là della patologia, nella sua globalità e quindi preoccuparsi della terapia, ma anche dando indicazioni su come assistere il malato e come dargli adeguata assistenza. Con lo sviluppo delle scienze mediche si è entrati sempre più in una visione specialistica, non solo rispetto a macro-ambiti (l’oculista, l’ortopedico, il chirurgo…), ma anche rispetto a nicchie di specialità: c’è lo specialista della mano o del ginocchio, dei tumori al fegato e di quelli allo stomaco o della bocca…
La specializzazione di alto livello corre però il pericolo di non prendersi cura di tutta la persona, specie poi se il condizionamento viene dai giorni di degenza, che indicano che una patologia va curata con un ricovero di un giorno o di tre, senza tenere presente se è la persona è giovane o anziana, se ha altre patologie… Il prendersi cura di tutta la persona chiede il rimettere al centro l’essere umano, non solo la patologia o la motivazione del ricovero: la persona con il proprio vissuto, le paure, le aspettative, le preoccupazioni, oltre ad abitudini, modi di vivere che, per esempio nel contesto ospedaliero, vengono uniformati ed omologati (basti pensare gli orari dei pasti, il dover condividere la camera con una o due persone, ecc.). Ecco l’importanza del fatto che all’interno degli ospedali, oltre alla figure sanitarie, necessarie ed importanti, ci possano essere altre professionalità od organizzazioni che possano farsi carico anche degli altri elementi della persona.
Proprio perché le speranze, le paure, le attese si concentrano tutte sulla stessa persona creando alle volte dei fenomeni di montante paura, solitudine, il non capire il senso del proprio ricovero, ma soprattutto il desiderio di voler ritornare il prima possibile nella propria casa e al proprio ritmo di vita. La stessa normativa della Regione Veneto indica alcune linee sull’umanizzazione rischiando di delegare il tutto solo ad alcune figure professionali (per esempio gli psicologi), o ai comitati di bioetica, mentre il prendersi cura del malato è un compito di tutti: dall’usciere, al personale tecnico, paramedico, infermieristico fino ai primari, o agli operatori socio sanitari. Il senso è che tutte le figure professionali devono essere aiutate a formarsi per un approccio integrale ed integrato nei confronti della persona malata. Il che vale anche tra le diverse figure professionali e specialistiche che devono confrontarsi e fondersi, appunto, così da prendere in carico la persona nella sua totalità. Allora dalla sanità opereremo per la salute, per una salute integrale.
Mons. Dino Pistolato Direttore Ufficio per la Pastorale della salute