Una busta contenente un’offerta per la parrocchia. Ma con un’indicazione ben precisa: i destinatari della carità siano italiani. <Gli stranieri per ultimi!>. Così era scritto all’interno di quella busta. Ma il parroco del nostro territorio destinatario dell’offerta (la notizia qui) l’ha respinta al mittente: <Queste parole ripropongono slogan che siamo abituati a sentire, ma non hanno niente a che fare con la fede e la vita cristiana, che considera i più poveri tra i primi, senza guardare il colore della pelle o la provenienza>, ha scritto don Gino Cicutto.
“Prima gli italiani” non è solo lo slogan di un preciso partito politico. E’ diventato un sentire comune – almeno in una certa parte di popolazione – che vorrebbe vedere azioni a sostegno della popolazione italiana indigente in cima alle priorità delle istituzioni, delle associazioni, delle parrocchie, degli enti caritatevoli. Ma a tutte queste persone la risposta da dare, oltre a quella evangelica citata da don Cicutto, sta in una domanda precisa: <Avete voi pagato tutte le tasse?>. Perché se davvero pagassimo il dovuto, allo Stato e ai Comuni, ci sarebbero risorse in abbondanza per tutti. Italiani in primis. Si parla di introiti mancati per oltre 120 miliardi l’anno.
Se questi soldi arrivassero nelle casse pubbliche avremmo migliore sanità, senza ticket e senza dover ricorrere al privato a pagamento per accorciare i tempi d’attesa. Potremmo restaurare e magari anche realizzare nuovi alloggi pubblici. Potremmo avere scuole migliori, con insegnanti di sostegno a fianco dei ragazzi più fragili per tutto l’orario scolastico. Avremmo più asili nido, con rette accessibili. E trasporti più efficienti. E misure sociali estese per chi proprio non ce la fa.
Allora prima di dire “prima gli italiani”, diciamo “prima le tasse”. Perché tra quanti pontificano in favore dei connazionali, ci sono tante persone che usano scorciatoie fiscali a proprio vantaggio. Facciano un esame di coscienza. Gli italiani ringrazieranno.
Serena Spinazzi Lucchesi