Per metà dei contribuenti, guarda caso quelli meno abbienti, poco o nulla cambierà: la “flat tax” appiattita al 23%, proposta in questi giorni da alcune forze politiche, corrisponde esattamente all’aliquota nella quale si trova circa la metà dei contribuenti italiani. Secondo i dati pubblicati di recente dal Sole 24 Ore, infatti, il 45% dei contribuenti si colloca nella classe di reddito fino a 15mila euro, quella cioè che già oggi paga le tasse secondo l’aliquota Irpef al 23%. Per tutti questi contribuenti – ed elettori – dunque nulla cambierà.
Diverso il discorso per l’altra metà degli italiani, quelli che percepiscono un reddito tra i 15mila e i 50mila euro (sono il 49% dei contribuenti) e che si vedrebbero ridurre le tasse. E’ a loro, quindi, che si rivolgono in questi giorni i candidati: «Vota per noi e pagherai meno tasse». E’ un vecchio ritornello, ma evidentemente fa presa e funziona. Al di là della sostenibilità, tutta da dimostrare, c’è un’altra questione. Ed è più grave ancora: chi ha di più merita di avere ancora di più. Una logica che non prevede solidarietà, né tantomeno equità sociale. Chi è povero rimanga pure così. Al massimo potrà ricevere un sussidio, un sostegno sociale a carico degli enti locali, sempre che i servizi siano davvero efficienti. Ma per i ricchi inizierebbe la stagione di Bengodi: si guadagna tanto e si paga poco.
Peccato che la Costituzione preveda che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Che significa che chi ha di più, deve contribuire in misura maggiore al buon funzionamento dello Stato. Si chiama equità. Lo diceva un tempo anche quel tizio, nel Vangelo…
Serena Spinazzi Lucchesi