Abbiamo tutti accolto con dolore la morte di Piero Angela, figura affabile e garbata che ha saputo rendersi pioniere di divulgazione scientifica in un ambito non facile e con una programmazione di indubbia qualità anche in anni in cui il servizio televisivo è scivolato inesorabilmente nell’entropia dell’intrattenimento effimero comprimendo sempre più gli spazi di cultura o relegandoli in orari marginali e, con ciò, non certo atti all’allargamento di interessi ad un pubblico che non fosse già sensibilizzato.
Con uno stile pacato e signorile, al quale la volgarità dilagante nella comunicazione mediatica ci ha disabituati, egli ha contribuito a conquistare molti alla scienza e alla bellezza dei fenomeni naturali, suscitando in tanti giovani la scintilla di quella curiosità e interesse poi sviluppatisi in studi dedicati e carriere professionali anche brillanti.
Né va dimenticato che, al di là dell’impegno nel giornalismo televisivo e dell’ampia e prolungata conduzione di programmi (Quark, 1981-1989; Il mondo di Quark, 1984-1999; Superquark, 1995-2022) e serie documentaristiche televisive (tra le più riuscite La macchina meravigliosa, 1990; Il pianeta dei dinosauri, 1993; Viaggio nel cosmo, 1998), Piero Angela si dedicò, e sin dagli anni ’70, a una fitta produzione saggistica, con la pubblicazione oltre una trentina testi di divulgazione (alcuni dei quali in collaborazione con Lorenzo Pinna, nonché il figlio Alberto Angela), tra i quali ricordiamo Da zero a tre anni. La nascita della mente (1973; poi 2000), La vasca di Archimede (1975), Nel buio degli anni luce (1977), Viaggio nel mondo del paranormale. Indagine sulla parapsicologia (1978), La macchina per pensare. Alla scoperta del cervello (1983), La straordinaria avventura di una vita che nasce. Nove mesi nel ventre materno (1996), Viaggio nel Cosmo. Alla scoperta dei misteri dell’Universo (con Alberto Angela, 1997), Raccontare la scienza (1998), Ti amerò per sempre. La scienza dell’amore (2005), La sfida del secolo. Energia. 200 domande sul futuro dei nostri figli (con Lorenzo Pinna, 2006), Viaggio dentro la mente. Conoscere il cervello per tenerlo in forma (2014), Tredici miliardi di anni. Il romanzo dell’Universo e della Vita (2015), e infine un volume autobiografico: Il mio lungo viaggio. 90 anni di storie vissute (2017). “Quark”, poi, fu anche un mensile di divulgazione scientifica, pubblicato dal marzo 2001 al dicembre 2006 (quando chiuse per problemi di sostenibilità economica – e fu davvero un peccato, in quanto decisamente più solido e serio del più diffuso “Focus”), sotto la supervisione dello stesso Piero Angela, con il medesimo comitato scientifico del programma televisivo.
A tutto ciò si lega inoltre l’avvertito valore d’impegno civile in tale preziosa e feconda opera di divulgazione, perché insieme ad essa è stato ricorrente l’appello alla dedizione allo studio, all’investimento nella ricerca e nella cultura come fattori decisivi e imprescindibili per la qualificazione civile di una società, l’intelligenza del vivere, il suo sviluppo.
Sull’onda del divulgatore civilmente “impegnato” si spiega il suo contributo decisivo nella fondazione nel 1989 del CICAP, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale (dal 2013 “sulle pseudoscienze”), costituito con lo scopo di fronteggiare il dilagare della selva del paranormale in tutte le sue forme e, con questo, il magma scomposto di un irrazionale che, facendo breccia nella credulità di molti, movimenta ingenti flussi di denaro, con effetti negativi nel sociale (basti pensare alla salute e ai costi indiretti delle patologie curate con le medicine cosiddette alternative). L’appello alla razionalità scientifica contro le trappole dell’irrazionale schierò utilmente Angela anche di fronte alla fiera dell’assurdo scatenatasi, tra negazionismi e complottismi, negli ultimi anni, in contraccolpo alla drammatica crisi pandemica.
Va però riconosciuto il fatto che attraverso quest’opera di divulgazione è passata anche una certa idea di scienza, che ha indubbiamente contribuito a formare una precisa mentalità, o quantomeno ad estenderla sensibilmente.
Perché l’impianto epistemologico sottostante all’opera di divulgazione scientifica di Piero Angela non era affatto neutrale, ponendosi come marcatamente riduzionista e scientista, volto a spiegare l’intero dell’esperienza entro le categorie delle scienze positive. Non, si badi bene, l’intero dei fenomeni naturali – prospettiva corretta in cui la scienza, appunto, proficuamente si muove – ma l’intero dell’esperienza nella sua complessità.
La persona vive immersa in un universo relazionale affettivo? Tutto perfettamente riconducibile agli habitus acquisiti dell’etologia animale sostenuti da dinamiche neuronali e ormonali: il volumetto di divulgazione Ti amerò per sempre (2005) spiega tutto – innamoramento, fedeltà, oscillazioni affettive ed evoluzione personale dei sentimenti – in termini biochimici. E così l’intelligenza umana: la sua peculiare configurazione in capacità di pensiero non esprime una qualche eccedenza sulla materia? Nulla più che una complessa risultante dell’evoluzione della specie nelle sue funzionalità cerebrali (il titolo del già citato saggio La macchina per pensare, del 1983, è del resto in sé già eloquente). Il qualitativo riportato tutto e senza residui al quantitativo. L’antropologico e le sue dimensioni interamente ricondotto al prodotto, complesso quanto si voglia, di un’evoluzione biologica e nulla più.
La stessa serie documentaristica La macchina meravigliosa, di cui il divulgatore andò sempre particolarmente fiero, è evocativa nel titolo de L’homme machine, il prototipo della trattatistica riduzionistica in antropologia dell’illuminista ateo Julien Offray de La Mettrie, pubblicato nel 1748.
E Piero Angela, nell’opera della sua divulgazione scientifica, mentre si è tenuto prudentemente nelle retrovie rispetto ad alcune figure apertamente schierate nell’ateismo militante e regolarmente ospiti di Quark, come Danilo Mainardi, esponente di spicco dell’Uaar, non ha mancato di colpire con precisione chirurgica tutti i punti nevralgici in cui la fenomenologia antropologica attesterebbe chiari elementi per un’interpretazione non-riduzionistica dell’esperienza.
Morte compresa, questa “gran seccatura”, come soleva rispondere, intervistato al riguardo, eppure sminata nella sua drammaticità esistenziale coll’essere, ad ogni possibile occasione, riportata con fare rassicurante al semplice esaurimento del ciclo biologico vitale. E sembra qui di sentir riecheggiare in lontananza la critica a Pascal di Voltaire, che rifiutava categoricamente la criticità e problematicità della condizione umana lacerata da crepe e contraddizioni esistenziali (punto fondamentale dell’antropologia pascaliana e della sua argomentazione apologetica), e nel 1741 scriveva, in una battuta sarcastica: «Non amo un ciarlatano che vuol farmi credere malato per vendermi le sue pillole. Tieniti la tua medicina, amico, e lasciami la mia salute».
Di fatto, dietro quella che al grande pubblico appariva una posizione personale defilata, la storia dei format televisivi dei programmi e serie documentaristiche di Piero Angela sembra legata a doppio filo con quella dell’Uaar (Unione Atei Agnostici Razionalisti), a cominciare dal fatto che del comitato scientifico di Quark facevano parte il già citato Mainardi e l’astrofisica Margherita Hack, entrambi membri del Comitato di presidenza e poi Presidenti onorari dell’associazione che dell’ateismo militante ha fatto la ragione della propria esistenza, e se ricordassimo i nomi di tutti coloro che, da Piergiorgio Odifreddi in giù, sono attivamente circolati nei progetti e iniziative di divulgazione mediatica del grande comunicatore, dentro e fuori la Rai, la lista si allungherebbe parecchio, e ancor più se considerassimo i molti altri atei e agnostici coinvolti, come lo storico Alessandro Barbero – inserito, insieme allo stesso Piero Angela, nella lunghissima lista dei “famosi non credenti” del sito dell’Uaar (vengono in mente gli antichi libelli di Athei detecti, a compilare i quali provvedono ormai loro stessi, ritenendolo motivo di vanto) – emergerebbe chiaro il quadro di un’opzione quantomeno preferenziale del Nostro, nella confezione dei suoi programmi ed eventi.
Non solo, lo stesso Angela ha collaborato, ancorché sporadicamente, con la rivista “L’Ateo” – bimestrale dell’Uaar, sostituito dal 2020 da “Nessun Dogma” – pubblicandovi qualche articolo (in realtà riprese di parti di alcuni suoi libri di divulgazione), ma sempre nel suo stile, quindi senza pronunciarsi nella linea di quell’ateismo aggressivo e insolentemente anticlericale che dietro una patina di scientificità anima la rivista, oppure parlando d’altro, come di questioni legate alla sua esperienza di divulgatore (Le vie della divulgazione scientifica, 2017 – ripreso da una pagina Treccani, 2009), ma dove, ad esempio, dopo una geremiade contro il fatto che in Italia la cultura scientifica sarebbe oppressa dalla preponderanza di quella umanistico-letteraria (che non ci pare scoppi proprio di salute, aggiungeremmo noi), il contributo conclude che non dovrebbe esserci questa opposizione, perché «a ben guardare, la scienza è spesso strettamente connessa alla filosofia», parole alle quali il cuore del filosofo quasi si intenerisce.
L’illusione, però, dura assai poco. Vediamo, infatti, in cosa consisterebbe questo essere “strettamente connessa” della scienza alla filosofia. Angela continua: «Nel senso che cerca proprio di rispondere ad alcune delle domande che si sono presentate nella storia della riflessione filosofica: come ha avuto origine l’Universo, come è apparsa la vita sulla Terra, come è nato l’uomo, cosa ha dato origine alla grande varietà di forme di vita, come funziona un sistema vivente, perché siamo tutti diversi, cosa c’è nell’infinitamente piccolo, come funziona il cervello, cos’è il comportamento, cosa sono lo spazio e il tempo, e molto altro. A queste domande danno risposte l’astrofisica, la biochimica, la biologia, la genetica, la fisica delle particelle, la neurofisiologia, la psicobiologia, la meccanica quantistica».
Più di connessione diremmo che quello proposto è il quadro di saperi concorrenti tra i quali sarebbe in atto una vera e propria sostituzione: superata l’inadeguatezza dei saperi filosofici, provvede la scienza. A spiegare tutto. Esattamente come nella progressione comtiana dei tre stadi, in cui a quello “infantile”, della fede religiosa, subentra quello “adolescenziale”, della ragione filosofica, da ultimo soppiantato dalla spiegazione scientifica, cioè “positiva”, della realtà. Un distillato di positivismo ottocentesco allo stato puro.
In questo contesto, il punto più esposto al quale si spinse, può essere considerata la negazione di un’universale tensione nell’uomo alla trascendenza (il bersaglio, ovviamente non esplicitato, è il desiderium naturale videndi Deo di Tommaso, rielaborato dall’Aquinate nel solco dell’inquietum cor agostiniano e acquisito come un punto fondamentale della teologia cristiana e nello specifico cattolica), con quella che egli considera «una constatazione molto semplice» ‒ e, aggiungiamo noi, di una banalità, imprecisione e pochezza argomentativa, per un uomo di cultura, sconcertanti ‒: «il mondo è pieno di gente che non ha assolutamente questo bisogno di credere nel trascendente. Se fosse una necessità connaturata all’uomo dovrebbe essere comune a tutti (così come è comune a tutti gli uomini il bisogno di aria, cibo, sonno, ecc.), invece non lo è: e questo costituirebbe già la prova che non si tratta di una necessità “interna”, ma di un bisogno creato dall’ambiente, cioè dall’educazione (e dall’informazione)» (La strada più difficile, 2004 – ripreso dal vol. Viaggio nel mondo del paranormale, 1978).
Eppure, a una serata del Maurizio Costanzo Show, nel discutere di paranormale con altri invitati – eravamo alla fine degli anni ’80 –, di fronte all’osservazione che con una tale impostazione si chiudeva ogni strada all’ammissione della trascendenza, e di qui si finiva per prendere nel mazzo anche le fedi religiose, Angela si schermì subito e con piglio deciso: “No, no! La religione è una cosa seria!” Affermazione alla quale è francamente difficile dare un significato che non sia semplicemente il riconoscimento dell’enorme distanza tra la minutaglia scomposta e grottesca del paranormale e lo spessore e il portato, culturale e sociale, di una fede strutturata e plurimillenaria come quella cristiana.
Non è qui in questione la posizione personale di Angela, dichiaratosi più volte ateo, ma più precisamente dovremmo dire agnostico, con la ripetuta ammissione di aver conosciuto e stimato diversi scienziati credenti. È in questione un impianto epistemologico che, rispondente a un paradigma d’impronta illuministico-positivista di fatto superato nell’elaborazione teorica “alta” da almeno mezzo secolo, è stato veicolato per decenni come l’espressione più avanzata del sapere scientifico, e ben lungi dall’essersi con lui esaurito ha trovato emuli e continuatori, come nel geologo Mario Tozzi, il cui riduzionismo antropologico è persino più spinto.
È passata un’idea di scienza, dicevamo. Un’idea che, proprio in un’azione così incisivamente divulgativa, ha reso “vulgata” una concezione del mondo e delle possibilità di descriverne l’esperienza che ha contribuito a formare mentalità e cultura. Una mentalità per la quale non solo la rimozione della fede dalla scena di questo mondo sarebbe un atto praticamente dovuto, di fronte all’inesorabile avanzare della scienza, ma, ancora più radicalmente, per la quale la liquidazione dei saperi umanistico-letterari e simbolici e della stessa filosofia, come si è potuto vedere, è questione appena di un passo più in là. Anzi, potremmo dire, a rigore, che è già interna in questo modo di configurare il campo epistemologico in senso lato.
E anche l’ammissione della possibilità che si diano uomini di scienza credenti, al di là della signorile neutralità in cui è pronunciata, si delinea nei termini di una radicale distinzione dei due ambiti che, per come posta, sembra precludere qualsiasi percorribilità non solo a una teologia naturale, ma anche a una teologia della natura. «Ho sempre provato grande rispetto per le persone che hanno trovato una fede […]. Ho conosciuto anche molti scienziati credenti in grado di viaggiare su due binari paralleli, capaci di distinguere le traversine scientifiche da quelle del credo religioso», affermò in un’intervista (Avvenire, 26.8.2017), e nel suo libro autobiografico Il mio lungo viaggio (2017): «Tra gli scienziati ci sono credenti, non credenti e agnostici, è un fatto personale. Fede e scienza sono due modi di conoscere che passano per strade diverse e parallele. Penso che sia bene che i due ambiti restino il più possibile separati». Ecco, l’idea dei “due binari paralleli” non è esattamente l’immagine con la quale vorremmo tradurre i rapporti tra ragione e fede e tra scienza e fede, che non vanno certo confuse, ma neppure considerate mondi paralleli e non comunicanti di una comprensione dissociata (cioè, in fin dei conti, schizoide) della realtà.
Viene qui a mente l’auspicio di Hans Küng, che nel riferire (nel ponderoso volume-miniera Dio esiste? Risposta al problema di Dio nell’età moderna, trad. it. 1979) la risposta di un fisico alla domanda postagli se fosse credente, “of course not! I’m a scientist!” (naturalmente no! Sono uno scienziato!), prospettava, nello sviluppo di una razionalità più matura e compiuta dell’uomo, l’epoca in cui al contrario dovrebbe essere naturale sentir rispondere “of course! I’m a scientist!” (naturalmente sì! Sono uno scienziato!).
L’evoluzione della “grande” epistemologia degli ultimi decenni di fatto sta aprendo molti più spazi in tal senso di quanti non ne abbia chiusi una così mortificante idea di scienza propalata dalla corrente divulgazione. E non perché la scienza, attraverso la natura, stia scoprendo nuovi riscontri dell’esistenza di Dio (si continui, sì, in tal senso, a tenere ben distinti gli ambiti, contro indebite e controproducenti contaminazioni!), ma perché l’avanzamento reale della scoperta scientifica, ben lungi dall’esaurire il campo dell’esperienza e della natura, ne apre al contrario sempre più spazi insaturi, che chiamano più considerazione e comprensione degli spessori qualitativi dell’esperienza, e quindi più filosofia, anche più metafisica, e dove nessuno, se conseguente a una razionalità vera e piena, dovrebbe ritenersi dispensato dal riaprire anche l’ineludibile partita della questione di Dio, dell’Eternità, della Salvezza.
Eppure ci ha parlato di bellezza, di fascino, di meraviglia, l’indimenticabile Piero. Cioè di quel qualitativo che dà gusto e spessore alla vita. E alla bellezza della natura e delle sue geometrie ha appassionato generazioni, insegnando a riconoscerla e apprezzarla. E noi sappiamo del senso ultimo di quella bellezza. E l’augurio che possiamo fargli, volgendolo anzi in preghiera, è che gliene sia finalmente svelato il vero volto. Quel Volto che le pieghe della sua storia personale e le vie percorse nell’affascinante avventura di raccontare le meraviglie della terra e delle profondità dei cieli stellati lo avevano trattenuto, sin qui, dal riconoscere.
Alberto Peratoner