Facile a dirlo, in questo momento; però è questo il momento per dirlo: la Nazionale femminile di pallavolo è in finale grazie al fatto che metà della squadra è composta da italiane figlie di stranieri.
Paola Egonu, Myriam Silla, Ofelia Malinov: nomi fino a ieri sconosciuti, ma che oggi – specie dopo la semifinale appena vinta al tie-break contro la Cina – sono diventati noti quasi a tutti.
La prima è nata nel Padovano, a Cittadella, da genitori nigeriani. La seconda è figlia di migranti ivoriani stabilitisi a Palermo; la terza ha papà e mamma bulgari.
Se non fosse per loro, l’Italia sarebbe una squadra da metà classifica, come troppo spesso succede. Se oggi il nostro Paese, dal punto di vista sportivo, torna a disputare una finale mondiale e ad essere fra le prime due potenze pallavolistiche, è merito di queste ragazze che non hanno cognomi italiani e il cui colore della pelle, per due di loro, dice chiaramente l’origine.
Lo sport è probabilmente più avanti di altri settori della società italiana. Sta di fatto, comunque, che il miglior modo per creare un’immagine bella attorno a queste italiane non consuete è la grande impresa compiuta grazie a loro. Un’impresa che riporta l’Italia dove non arrivava più da anni (diciamo dal 2006, quando i calciatori hanno vinto il Mondiale).
Paola, Myriam e Ofelia sono l’apripista di una società nuova, in cui merito e impegno contano molto di più delle differenze d’origine. La Patria ne guadagna, l’umanità pure.