Alfie non ha nemmeno due anni ed è ricoverato in fase critica in un ospedale di Liverpool. Per i medici continuare a curarlo significa accanirsi su di lui in modo inumano e hanno chiesto ai giudici, che hanno dato loro ragione, di poter procedere a interrompere ogni cura medica determinando così la fine della vita del piccolo. I genitori vorrebbero invece trasferirlo in un altro ospedale, in Italia, dove dei medici si prendano cura di Alfie, per capire quali cure, pur senza accanimento, siano ancora possibili rispettando la dignità personale del loro bambino, anche se forse si trova già in fin di vita.
Medici, giudici, e ora anche poliziotti presenti in forza impediscono il trasferimento chiesto dal padre e dalla madre, i quali addirittura dichiarano che l’ospedale in cui ora è Alfie non li ha mai adeguatamente informati e non ha mai chiesto loro il consenso alle terapie alle quali loro figlio è stato comunque sottoposto. Terapie che avevano come scopo solo di sedare il bambino per addormentarlo o per evitare che sentisse dolore senza cercare né la diagnosi della malattia da cui Alfie è affetto, né una pista per contrastarla sostenendo la vita del piccolo, poiché secondo i medici inglesi non ha senso che la sua vita continui in queste condizioni.
Al di là di ciò che sembra, il nostro parere è che non ci si stia “scontrando” (solo) su modi diversi di considerare le cure e l’accanimento terapeutico, né su diverse maniere di accostarsi ai malati, né su varie forme di percepire la dignità umana e né sulla visione di cosa sia essere “uomo”. Al fondo ci si sta scontrando su cosa significhi essere “figlio”. È a partire da qui che si ha una percezione diversa del curare il corpo del figlio, di prendersi cura della sua vita e di rispettare la sua relazione con i genitori. I medici, i giudici e i poliziotti inglesi stanno “dicendo” al mondo che Alfie non è più figlio!
Per questo possono decidere “tutto” per Alfie, decidere di prendersi cura del suo corpo malato o no, decidere della sua vita o della sua morte, decidere di considerare la relazione filiale con i suoi genitori o di usurparla. Scusatemi la domanda: in nome di quale autorità si sta facendo questo? Ci pare un’autorità dispotica, quella di uno Stato “paternalista” (e “maternalista”). Ma non si chiedeva la fine del paternalismo dei medici proprio nelle questioni di fine vita? Chi chiedeva ciò non sta invece imponendo adesso un nuovo paternalismo (peggiore) in maniera dispotica?
p. Ermanno Barucco, ocd
Professore di Bioetica