Mi scrive un sacerdote amico dall’Italia: «Tra il Cubo e la Cattedrale ha vinto il Cubo». Per quanto la citazione mi fosse chiara, non sapevo ancora del rogo della grande Notre-Dame. Benché l’ora fosse tarda, rientravamo a casa per le polverose e sconnesse strade di Ol Moran. Giunti in canonica potei rendermi conto di quanto in Francia stava avvenendo.
“La Cattedrale e il Cubo: Europa, America e politica senzanDio”, dunque: è il titolo di un saggio di un politologo, giornalista e prolifico scrittore statunitense, noto ai più per essere stato amico intimo nonché biografo di Giovanni Paolo II. La sua monumentale e puntuale narrazione della vita del Santo Papa polacco, “Testimone della Speranza”, pubblicata nel 1999 è un imprescindibile punto di riferimento, che non scade nella mera agiografia.
Questo autore nel 2005 pubblica un libretto, quasi un pamphlet nello stile e nella forma, che prende a riferimento due significativi luoghi parigini: la cattedrale di Nostra Signora e l’Arco de La Défense, un ipercubo di cemento e marmo di Carrara, opera dell’architetto danese von Spreckelsen. Tale secondo edificio fu pensato come attualizzazione del grande Arco di Trionfo dell’Etoile: è dedicato alla fraternità universale e come memoriale del bicentenario della Rivoluzione francese. A volerlo fortemente è stato il presidente Mitterrand.
Tra la cattedrale cattolica, ormai molto danneggiata, e il grande monumento laico e freddo nella sua bianca divisa, vi è un abisso culturale. Da una parte il prodotto della cultura medievale (la stessa che ci ha donato le università, la medicina moderna e che ha perpetuato il diritto romano): una cultura fondata sull’evento di Cristo. Dall’altra un cenotafio dell’antropologia massonica e liberale, figlia di quella Rivoluzione che ha posto le basi della secolarizzazione dell’Europa e che è una delle cause remote dei totalitarismi del XX secolo. La civiltà occidentale oggi nell’Europa continentale, è la civiltà del Cubo. Per Weigel però tale civiltà è destinata alla morte: ha prodotto le due Guerre Mondiali, l’eugenetica, la crisi demografica, nuove forme di schiavitù consumistiche. La risposta è abbracciare l’antropologia cristiana secondo le parole di San Giovanni Paolo II: «Aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo!».
Possiamo guardare all’incendio della cattedrale parigina come ad una icona della crisi della fede dei nostri tempi: della grande civiltà che ha prodotto la nostra identità e la nostra comune matrice giudeo-cristiana rimangono solo i monumenti, vestigia di un nobile passato. Ma i monumenti possono rovinare: è effimera la bellezza di questo mondo.
Questo evento, che pare sia accidentale, può essere per tutti una grande provocazione.
Noi veneziani sappiamo infatti che la Fenice può risorgere dalle ceneri: ma non parliamo dell’edificio di pietra, bensì di quello edificato con “pietre vive”. Senza temere complessi di inferiorità col mondo e senza temere confronti. Il Cristianesimo infatti non teme la sfida come non teme la morte.
Dalla penna di Chesterton è uscita, in tal senso, una felice sintesi: «Il Cristianesimo è stato dichiarato morto molte, infinite, volte. Ma, alla fine, è sempre risorto, perché è fondato sulla fede in un Dio che conosce bene la strada per uscire dal sepolcro».
Marco Zane