L’onda delle emozioni mediatiche non si arresta mai, è un fiume in piena nel quale ci troviamo profondamente immersi.
A ogni ora del giorno (e forse della notte) ci colleghiamo ai siti internet e ai social per avere informazioni, per condividerle, per commentarle. E tutto scorre vorticosamente.
Ci allarmiamo per il tornado in Florida, piangiamo le vittime dell’alluvione di Livorno, mentre abbiamo già praticamente dimenticato il dramma della bimba morta di malaria, perché ormai è trascorsa una settimana da quell’evento così tragico.
Divoriamo tutto alla velocità di un post, senza riflettere mai o quasi mai. Anche la nostra empatia scorre rapida da una notizia all’altra, senza che riesca a tramutarsi in qualcosa di più profondo. Riusciamo a simpatizzare verso chi è più vicino a noi, più simile a noi.
Lo stesso dramma, se accade in Africa o in Estremo Oriente, non ci scuote allo stesso modo. Ma anche quando veniamo colpiti da un accadimento, è solo per qualche istante, il tempo di passare a un altro evento, a un altro fatto drammatico. Fermarsi, di tanto in tanto, è quanto mai necessario per riuscire invece a tramutare quella fugace empatia in qualcosa di più duraturo e più profondo, possibilmente concreto.
Magari in una donazione o in una qualsiasi buona azione, da mettere in pratica nella vita reale, fuori dal virtuale.
Serena Spinazzi Lucchesi