Carissimi,
desidero innanzitutto rivolgermi a tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro fedi, etnie e culture, e lo faccio in occasione della Pasqua che, per i cristiani, celebra la risurrezione del Signore ed è la festa per eccellenza, la festa della liberazione dalla paura, dall’odio e dalla violenza, dal peccato.
Al di là delle appartenenze tutti, in questi giorni, siamo rimasti attoniti dinanzi ai drammatici eventi di terrore e morte che i media ci propongono in tragica sequenza; è il momento in cui siamo chiamati a reagire superando paura, tentazione di fuga, desiderio di vendetta.
A quanti condividono la fede in Gesù dico, fraternamente, che in questo tempo di Pasqua dobbiamo più fortemente far risuonare – nei nostri cuori e nelle nostre relazioni – la buona notizia che Gesù è Risorto, vive in mezzo a noi, ci dona pace e speranza e con noi percorre la strada della storia chiedendoci di fare la nostra parte come credenti e cittadini.
Guardiamo con la virtù cristiana della fortezza agli ultimi drammatici fatti della Siria, di Stoccolma e delle comunità cristiane d’Egitto (tra cui quella di Alessandria, a noi veneziani molto cara per il comune riferimento a San Marco), senza dimenticare i dolorosi fatti capitati in altre parti del mondo dove moltissimi sono i perseguitati per motivi di fede; nel solo 2016 i cristiani uccisi a causa della fede in Gesù sono stati novantamila.
Il terrorismo è come una “guerra” diffusa a livello mondiale, inafferrabile e incontrollabile; una guerra “a pezzi”, per usare le parole di Papa Francesco. Sia pure col sollievo per il grave pericolo scampato, grazie all’azione della magistratura e delle forze dell’ordine a cui va il nostro ringraziamento, abbiamo drammaticamente compreso che anche Venezia non è estranea a tali dinamiche. E abbiamo provato, sulla nostra pelle, la sensazione d’essere fortemente “a rischio”, come tante altre parti del mondo.
Eppure, negli stessi giorni degli atti terroristici, i ramoscelli d’ulivo innalzati come segni di gioia e pace nelle nostre comunità – all’inizio della Settimana Santa – hanno indicato il bisogno, la ferma volontà e – direi – il coraggio della pace per ritrovare il senso profondo del vivere e stare, nuovamente, insieme. Si è così espressa una scelta che non è solo della fede ma è anche culturale e civica. La paura non dà lucidità, la paura non tutela una comunità, la paura non è mai proposta costruttiva.
A Pasqua siamo chiamati a dar spazio alla sola Parola che ci risolleva, è in grado di sradicarci dalla paura e ci ricorda: “Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!” (Lc 24, 36-39).
Il cammino del cristiano a Pasqua consiste, così, nel liberarsi da ogni forma di paura per correre incontro al Signore risorto e vivo! Lasciamoci finalmente incontrare da Lui, come avvenne in quel mirabile e straordinario giorno al pozzo di Sicar, dove Gesù alla donna samaritana “rivolse una parola al suo desiderio di amore vero, per liberarla da tutto ciò che oscurava la sua vita e guidarla alla gioia piena del Vangelo” (Papa Francesco, Amoris laetitia n. 294).
Il dono della grande festa di Pasqua – cuore del cristianesimo – è nuova occasione per ripartire; è un’opportunità che ci è data come grazia e che, a tutti, chiede umiltà e disponibilità alla conversione per passare dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce, dalla menzogna alla verità, dall’odio all’amore incondizionato.
“Cristo, mia speranza, è risorto”: l’annuncio della Pasqua giunga a tutti, specialmente a quanti sono segnati dalle sofferenze e dalle preoccupazioni della vita.
Con affetto auguro a tutti una Pasqua di verità, di giustizia e, quindi, di pace!
Francesco Moraglia
Patriarca di Venezia