Colpisce il fatto che proprio Greta e non migliaia di altre persone, che la pensano allo stesso modo ma hanno maggiori competenze e maturità, sia assurta a tanta notorietà.
Perciò non si riesce a non pensare al fatto che Greta sia un prodotto dei media.
I media l’hanno creata perché hanno colto la notizia: mai prima d’ora una ragazzina di questa età si è comportata in questo modo. Da sola a scioperare davanti al Parlamento svedese; viso da bambina e impuntamenti granitici; quella concentrazione su un’idea che la distrae da tutto il resto che le accade attorno e che forse è un effetto della sindrome di Asperger che le è stata diagnosticata…
Lei, Greta, regge allo stress dei proiettori puntati e i media puntano su di lei. Piange lacrime di rabbia per i potenti del mondo che parlano solo di soldi e non della crisi ambientale e così le televisioni e i giornali inondano le loro prime pagine del suo viso contratto e del suo digrignare i denti.
In questo modo, i media che raccontano Greta orientano l’interpretazione del mondo. Fanno di una persona un simbolo. E quel simbolo ha una forza comunicativa potente, capace di trasmettere idee ed emozioni a milioni di persone. Mutano la lettura collettiva della realtà e accompagnano l’evoluzione delle coscienze.
E siccome, alla fine, il vantaggio è per quell’interpretazione del mondo che sostiene la lotta alla crisi ecologica, si fa fatica ad avere un giudizio negativo di questa strumentalizzazione di Greta.
Però, sullo sfondo, resta un fastidio. Per non dire un incubo: se domani un bambino di 9 anni, o un vecchio di 110, o uno scimpanzé molto intelligente facessero qualcosa di originalmente green, scalzerebbero Greta dal podio.
Giorgio Malavasi