Se c’è un auspicio che si può fare alla vigilia del Sinodo sui giovani, è questo: che ne esca un “clima” propizio affinché i giovani si sentano ancora più a casa propria nella Chiesa.
E cosa vuol dire sentirsi a casa propria? In primo luogo significa sentirsi ascoltati e rispettati. C’è un sentire profondo, ci sono dei desideri sinceri – che tutti i giovani coltivano nel proprio intimo – che hanno il diritto di essere accolti da un ascolto attento e rispettoso.
È il primo passo per dire ad un giovane “tu mi interessi, mi stai a cuore, tu vali”.
Ascolto e rispetto sono anche il primo passo per realizzare in concreto un tratto essenziale del cristianesimo. Lo ha sottolineato pochi giorni fa Papa Francesco, rispondendo alle domande di un gruppo di giovani di Grenoble: «Il segreto per trasmettere il messaggio della Chiesa è questo: prossimità, vicinanza. Ma che significa? Significa prima di tutto fare quello che ha fatto Dio con il suo popolo. Nel Libro del Deuteronomio – continua il Papa – Dio dice così al popolo: “Quale popolo ha i suoi dei così vicini a sé, come tu hai vicino il Signore?”. Dio si è fatto prossimo al suo popolo. Non solo: voleva farsi tanto prossimo che si è fatto uno di noi, uomo. Questa prossimità cristiana è il primo passo: anzi, è “l’ambiente”, il clima in cui si deve trasmettere il messaggio cristiano. Il messaggio cristiano è un messaggio di prossimità».
Ecco: la prossimità di nutre di ascolto e di rispetto. Francesco lo chiama l’apostolato “dell’orecchio”. Però non basta: serve anche la proposta. E per far sentire i giovani a casa propria bisogna che non solo si sentano liberi e non giudicati, ma occorre che possano vedere come si vive in quella casa.
La casa dei cristiani è una dimora in cui, più che parlare, si fa. Nel senso che non tanto si insegnano dei principi o delle dottrine ma si incarna uno stile di vita. Si testimonia, insomma. E si mostra con i fatti che si cerca di fare il bene degli altri.
Lasciamo che lo dica, meglio di chiunque altro, ancora il Papa, sempre parlando ai giovani di Grenoble: «Una volta, un giovane universitario mi ha fatto questa domanda: “Io nell’università ho tanti amici che sono agnostici, cosa devo dirgli perché diventino cristiani?”. Io ho detto: l’ultima cosa che tu devi fare è dire delle cose. L’ultima. Prima devi fare, e lui vedrà come tu gestisci la vita. Sarà lui a domandarti: “Perché fai questo?”. E allora lì puoi parlare. La testimonianza prima della parola. Questa è la cornice del messaggio cristiano».
Se l’ascolto sarà attento e la testimonianza attraente, sarà ben difficile che un giovane non decida di stabilirsi nella casa in cui si vive secondo quello stile. Quella diventerà casa sua.
Giorgio Malavasi