Da mesi ci ripetono che con il virus ci dobbiamo convivere. Ora che i numeri dei contagi stanno pericolosamente salendo, ora che le scuole hanno riaperto e che sono arrivati anche i classici malanni stagionali, la convivenza si sta rivelando quanto meno difficile. Si prova a vivere normalmente, talvolta dimenticandoci le regole fondamentali del distanziamento e della mascherina. Non sono solo i più giovani a disattendere tali norme, anche se per loro i rischi di finire in rianimazione sono molto più bassi e dunque fatalmente viene più spontaneo abbassare la guardia. Invece dobbiamo metterci in testa che tutti, nessuno escluso, dobbiamo fare la nostra parte se vogliamo preservare le persone più fragili e se vogliamo impedire che gli ospedali collassino di nuovo…
Per non parlare del rischio di nuove chiusure. Si dice che non ci sarà un nuovo lockdown totale ma potrebbero rendersi necessarie delle chiusure locali. E se riguardassero proprio il Veneziano o il Veneto? Siano pronti a subire le conseguenze economiche di un nuovo stop delle attività, mentre stiamo ancora subendo gli effetti di quello precedente? In questo scenario si sta rientrando negli uffici, mentre la scuola sta provando a resistere, con tutte le limitazioni e i problemi del caso. Ne parliamo diffusamente nelle pagine di questo numero, perché ogni giorno famiglie, dirigenti scolastici e pediatri si trovano di fronte a casistiche particolari e direttive contraddittorie. Fortunatamente per ora ci sono ancora pochi casi di positività. Si isolano le classi, si esegue il tracciamento, ma quasi mai si è arrivati alla chiusura dell’intero istituto. La confusione in ogni caso è molta, anche perché dall’alto non sempre arrivano messaggi chiari. Spesso gli annunci e le promesse vengono scambiati per dati di fatto acquisiti. Invece si sta ancora aspettando i famosi test salivari che possano dare la risposta in pochi minuti: sembravano già pronti mesi fa, invece sono ancora in via di sperimentazione (anche su questo trovate un approfondimento all’interno).
Gli stessi tamponi rapidi non possono essere utilizzati in tutte le circostanze perché hanno ancora un margine di errore significativo. Allora la strada unica, proprio come sei mesi fa, è quella del tampone. E chi è stato obbligato in questi giorni a sottoporre il proprio figlio al tampone per consentirgli di tornare a scuola può testimoniare che no, il tampone non viene quasi mai fatto in giornata e, ancora, no il risultato non arriva nel giro di poche ore. Ci sono genitori in quarantena fiduciaria (in attesa di tampone) da giorni: non possono andare al lavoro e non esiste un certificato che giustifichi tale assenza. Una soluzione, su questo fronte, va trovata perché ferie e permessi non sono inesauribili. Questa è la convivenza oggi. Si può fare meglio? Certo. A tutti i livelli si può concorrere per mitigare le conseguenze negative del virus.
Le aziende sanitarie ad esempio si stanno attrezzando, anche con una lodevole creatività, per aumentare le possibilità di esecuzione dei tamponi, nei modi e nei tempi. Sicuramente si può fare meglio a livello di procedure nelle scuole, dove oggi con un’assenza per raffreddore è diventato obbligatorio esibire il tampone negativo. Si può fare meglio anche nella comunicazione da parte di chi ci amministra, evitando di annunciare iniziative condivisibili nel merito, ma poi non immediatamente attuabili. La convivenza è un esercizio che richiede pazienza, praticità e pure correttezza. Da ciascuna delle parti chiamate oggi in causa. Solo così potremo davvero convivere con il virus, fino a quando non riusciremo a debellarlo e a farlo uscire definitivamente dalle nostre vite.
Serena Spinazzi Lucchesi