Da una decina d’anni mancano sempre tre anni all’inaugurazione del Mose. Chissà che l’acqua alta eccezionale di lunedì 29 riduca finalmente quest’intervallo di tempo che ci separa alla chiusura dei lavori per le dighe mobili.
Sì, perché siamo fatti così, cioè maluccio: serve uno spavento per accelerare l’impegno e fare una certa cosa. Poi, se lo spavento passa e si torna al tran-tran, la tensione per realizzare quel certo obiettivo si rilassa e i tempi si allungano.
Perciò verrebbe da dire che è stata quasi provvidenziale la marea a 156 centimetri dell’altro giorno: ha creato molti disagi e danni, per fortuna non alle persone. E ha mostrato al mondo che, dopo la tragica mareggiata del 1966, non si è ancora risolto il problema di Venezia.
Siamo ad un passo, in realtà: il 94% delle opere del Mose è stato compiuto. Mancano gli ultimi interventi, che non sono inezie: valgono alcune centinaia di milioni di euro. Ma i soldi risultano stanziati; perciò i tempi così dilatati – incessantemente dilatati – per finire i cantieri sono difficili da capire. L’acqua granda di martedì ha consentito al sindaco Brugnaro di parlare del tema con i ministri Salvini e Toninelli, a ulteriore conferma che è nell’emergenza che si riesce ad accelerare. L’auspicio è che si arrivi alla ripresa definitiva dei cantieri e li si porti a conclusione. Perché il Mose non sarà il progetto migliore, ha punti critici, ha avuto un percorso accidentato…: ma è quello che abbiamo.
Non solo: è opportuno che si metta nero su bianco che sarà lo Stato a sostenere il costo non lieve della manutenzione continua delle paratoie. Nessun’altra istituzione sarebbe in grado di reggere una spesa simile; ma non garantire la manutenzione equivarrebbe a inchiodare il Mose sul fondo della laguna, entro breve, e a inchiodare Venezia ad un destino da Atlantide.
L’impegno sulla manutenzione continua, infine, avrebbe un valore simbolico ed educativo, dal punto di vista civico: la continuità in un impegno è una virtù che nel nostro Paese è carente. Lo mostra, appunto, la necessità di allarmi e spaventi per realizzare le opere. Chissà che l’emozione per una città divenuta, per alcune ore, un lago aiuti ad educarci – singolarmente e collettivamente – alla continuità.