Oltre 50mila persone hanno lasciato il lavoro spontaneamente nel 2019. Di queste, scrive l’Ispettorato del Lavoro che ha in carico l’esame delle dimissioni dei lavoratori, 37mila erano donne. La gran parte di esse (poco meno di 30mila) ha addotto come motivazione l’impossibilità di conciliare le esigenze lavorative con quelle familiari, avendo uno o più figli a carico. Anche gli uomini, ovviamente, hanno lasciato il lavoro: lo scorso anno 13.900 lavoratori hanno presentato la lettera di dimissioni . Le ragioni, però, sono diverse: per 11.400 lavoratori maschi si è trattato semplicemente di un cambiamento di lavoro, da un’azienda a un’altra. Nessuna rinuncia, in questo caso.
E’ anche vero, però, che ci sono stati 2500 lavoratori padri che hanno deciso di rimanere a casa per accudire i figli, perché la rete di welfare e quella familiare non consentiva alternative. Allora la questione non è solo femminile. E’ un tema generale, da affrontare come tale, senza relegarlo alle “politiche di genere”. E’ il tema del supporto alla famiglia, che si lega inevitabilmente alla gravissima denatalità che sta ipotecando il futuro del Paese. Chi ha lasciato il lavoro per ragioni familiari ha spiegato all’ispettorato di non poter far conto sulla presenza di parenti in supporto (i nonni), oppure di non poter sostenere i costi per un asilo nido o una baby sitter, o, ancora, di non aver trovato posto al nido per il proprio figlio. In queste risposte c’è già buona parte delle soluzioni: servono supporti di welfare per le famiglie. Vanno aumentati i posti in asilo nido, che non devono costare una follia. Il Family Act rappresenterà sicuramente un passo in avanti verso la tutela a tutto tondo della famiglia, delle madri e dei padri che potranno – si spera – continuare a lavorare e al tempo stesso poter accudire i figli con serenità. Un passo in più si potrebbe fare sul versante lavorativo, dove il part time è ancora una chimera.
Nel rapporto stilato dall’Ispettorato del lavoro si attesta che le domande di part time presentate all’azienda sono state accolte solo nel 21% dei casi. Di fatto solo un lavoratore/una lavoratrice su cinque si è visto accogliere la propria domanda di riduzione dell’orario lavorativo. In questo ambito dovrebbe allora intervenire lo Stato, legiferando in modo che le richieste di part time – se presentate per ragioni familiari, come l’accudimento dei figli o di familiari anziani/disabili – vengano obbligatoriamente accolte. Al tempo stesso andrebbero forniti adeguati incentivi e sgravi fiscali a quelle aziende che, per colmare le ore non lavorate dai dipendenti in part time, volessero assumere ulteriore personale. In modo da non gravare sui bilanci aziendali. Che il mercato del lavoro ogni anno perda più di trentamila persone, donne e uomini, per esigenze familiari è un danno per tutti, anche per il famigerato Pil. E non è certo così che si invogliano i giovani a mettere su famiglia.
Serena Spinazzi Lucchesi