Quel verbo “conformarsi”, scelto dalla Cassazione per intimare agli stranieri che hanno scelto di vivere in Italia l’obbligo di adattarsi ai nostri valori, non ci piace. Il fatto è di pochi giorni fa. I giudici hanno respinto il ricordo di un indiano sikh, condannato a pagare duemila euro di multa per essere andato in giro dotato del coltello rituale: un pugnale ricurvo, con lama di quasi venti centimetri.
Ma il pugnale è solo un simbolo religioso: così si è difeso l’indiano in tribunale. Secondo la Cassazione, invece, «è essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina».
Il verdetto aggiunge che «la decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha la consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza, ne impone il rispetto».
Ci permettiamo di dire che forse si è fatta un po’ di confusione. E che un pugnale con lama di venti centimetri non è solo un simbolo religioso, ma un’arma. Che poi sia affilata o no, chi lo può sapere se non perquisendo ogni volta chi la porta? Ma allora il no al sikh dev’essere dettato da un’altra ragione: il pugnale è fonte di pericolo. Il diritto della persona a dotarsi di un simbolo religioso è inferiore al diritto di chi lo incrocia per strada di non sentirsi minacciato.
Ma allora non era il caso di ribadire il rispetto dell’altro come valore basilare? Evitando al contempo il ricorso a quel “conformarsi” che appare così scivoloso? Non c’è bisogno che un sikh si conformi ad un italiano: basta che lo rispetti. I simboli possono rimanere, purché non provochino pericolo.
Al posto del pugnale da venti centimetri, perché non attaccare sulla giacca una spilla a forma di pugnale rituale? Il simbolo c’è comunque, i valori e la cultura d’origine sono preservati e il rispetto dell’altro tutelato. E la differenza delle culture diventa ricchezza: a patto che ci si metta in relazione e si rispetti chi si ha davanti.
Giorgio Malavasi