Ricorre, nei prossimi giorni, il sesto anniversario della morte del cardinal Marco Cè: il Signore lo ha chiamato a sé il 12 maggio del 2014.
Quella sera il Patriarca Francesco, che stava pregando il santo Rosario presso il capello mariano della parrocchia di Villabona, fu raggiunto dalla notizia che il Patriarca Marco aveva terminato il suo pellegrinaggio terreno ed era entrato nella vita vera.
Nella presente situazione di emergenza, non è purtroppo possibile quest’anno riunirsi ecclesialmente nella Basilica di san Marco per celebrare la s. Messa. Il Patriarca Francesco guiderà un momento di preghiera di suffragio, alle ore 18.30 di martedì 12 maggio, in diretta facebook attraverso il profilo di Gente Veneta. Egli invita tutta la comunità diocesana ad unirsi spiritualmente in preghiera, anche attraverso i mezzi di comunicazione, per affidare l’anima dell’amato Patriarca al Signore e rendere grazie per il dono della sua bella testimonianza sacerdotale. Il Patriarca Francesco celebrerà inoltre la s. Messa del mattino, alle ore 6.20, in suffragio del Patriarca Marco, ringraziando il Signore del grande dono che è per il Patriarcato di Venezia e invita tutti i sacerdoti ad unirsi nella stessa intenzione nella celebrazione.
Per ricordare fede e umanità del Patriarca Marco, ecco un testo di chi lo ha conosciuto da vicino, fin dal suo ingresso a Venezia: mons. Gianni Bernardi.
Da sei anni il patriarca Marco è nella casa del Padre, dopo aver portato a compimento e a pienezza una lunga vita di fedeltà al Signore e di servizio alla Chiesa. In questi lunghi anni, che adesso sembrano brevissimi, i miei confratelli e io abbiamo imparato a conoscerlo, a stimarlo, a entrare in sintonia con lui, ad amarlo: anno dopo anno, per i 23 anni del suo governo pastorale e per i 12 della sua presenza nella vita diocesana. Cosa resta in noi di questi anni? Siamo invecchiati, ma ci resta tanto; ci resta quanto, pur con i nostri limiti, abbiamo colto come dono da parte sua. Un dono che rimane presente, vivo e ci dà ancora speranza per il futuro. Intendo mettere in evidenza alcuni aspetti:
La sua testimonianza di fede, grande eppure umile, e bella; il suo amore per il Signore Gesù Cristo, guardando al quale il patriarca, spesso, usava la significativa espressione «l’adorabile persona di Gesù»; il suo servizio carico d’amore alla Chiesa e l’appassionata attenzione alla vita degli uomini e delle donne del nostro tempo.
Il primato, la centralità della Parola di Dio e dell’Eucaristia, che ci ha insegnato ad amare con la sua testimonianza diretta, con la sua gioia nell’ascoltare la Parola e con il suo modo di celebrare: ha recuperato così, per noi preti e per l’intera comunità, quanto già il santo papa Giovanni XXIII aveva, anche qui a Venezia, continuamente insegnato e mostrato con la sua vita: il Libro e il Calice, al centro della vita della Chiesa.
La dimensione orante della sua vita, la fedeltà alla preghiera della Chiesa e alla Liturgia; la sua paternità, il suo amore, la sua pazienza nei nostri confronti. Gli abbiamo dato motivi di sofferenza, anche profonda, ma, nella sua paternità, ha sempre cercato di non rompere, di mantenere dei legami, di portare ancora speranza.
Concretamente, poi, possiamo ricordare le sue precise attenzioni pastorali, che rimangono ancora di orientamento per noi: il sostegno alle parrocchie e al seminario, l’Opera Diocesana per gli Esercizi Spirituali e l’aver desiderato, per la nostra diocesi, una casa di spiritualità diocesana; l’attenzione agli sposi e alla famiglia e all’impegno dei laici nella vita della Chiesa e della società (Azione Cattolica, Gruppi di Ascolto, Scuola di formazione socio-politica…), l’amore per la Basilica di San Marco, che desiderava fosse realmente vissuta come la cattedrale della diocesi, la riscoperta delle fonti della nostra fede (anno laurenziano e anno marciano), le missioni, i poveri e gli ammalati… sempre in comunione con il papa e con i vescovi.
Ma accanto a ciò vorrei ricordare alcuni episodi dei quali sono stato testimone e che, a mio parere, mettono in luce la sua umanità e la sua fede.
Subito dopo il suo ingresso in diocesi, nel 1979, mi fu chiesto di fargli un saluto di benvenuto quando incontrò per la prima volta i preti veneziani; ho saputo successivamente che il saluto gli piacque, chiese chi fossi e pensò subito di portarmi in patriarchio, ad abitare con lui e con don Valerio, il suo segretario. Naturalmente, a me non disse nulla: io continuavo a essere cappellano nella parrocchia dei Carmini, a studiare filosofia e a insegnare in seminario. Alcuni mesi più tardi, in un colloquio mi disse che stava pensando a qualcosa a mio riguardo e mi fece qualche accenno vago, che mi mise un po’ in agitazione. Finché, in occasione del mio compleanno, mi fece pervenire un biglietto di auguri, gentilissimo e affettuoso, che mi fece molto piacere. Ma c’era un post scriptum: «Ho definito quella faccenda».
Aveva già preso la sua decisione a mio riguardo. Mi spiegò che era preoccupato che mi dedicassi troppo alla parrocchia e che non mi impegnassi nello studio: voleva che terminassi al più presto e in patriarchio avrei avuto la possibilità di farlo; mi disse che così avrei potuto anche dare una mano a don Valerio, che continuava ad essere assistente dei giovani di Azione Cattolica; ma disse anche un’altra cosa, inaspettata e bellissima: insieme, saremmo stati come una famiglia. E così fu, per nove anni: io avevo i miei impegni (la scuola in seminario, la conclusione degli studi, poi ho sostituito don Valerio in Azione Cattolica), ma celebravamo insieme la messa e i momenti di preghiera, mi aspettavano a pranzo e a cena, raccontavo le cose che mi capitavano e gli incontri che facevo… il patriarca diceva che in tal modo la mia presenza li aiutava a non parlare solo di problemi! Ho nostalgia ancor oggi di quel clima di familiarità autentica, segno e immagine della comunione che deve caratterizzare la vita della comunità cristiana.
Altri ricordi sono legati ai viaggi che facevamo d’estate, quel bel gruppo di amici di cui faccio parte; qualche volta il patriarca accettò di venire con noi. Personalmente, mi porto nel cuore due episodi avvenuti durante il viaggio in Georgia e Armenia nel 2002: da pochi mesi il cardinal Cè era patriarca emerito. In visita al monastero di Khor Virap, in Armenia, accettò di salire con noi sulla cima di un piccolo colle, dal quale si godeva la vista del bellissimo panorama del monastero sullo sfondo del monte Ararat. Trovammo lì un gruppetto di ragazzi, della minoranza curda yazida, che vendevano colombe da liberare: si sapeva che era un imbroglio, in quanto gli uccelli, addestrati, una volta liberati sarebbero tornati dai loro proprietari… Ma il patriarca volle ugualmente dare un po’ di soldi: voleva, con semplicità, far contenti quei ragazzi!
Un altro giorno, dopo aver visitato il tempio ellenistico di Garni, con un’amica e il patriarca ci sedemmo all’ombra di un albero frondoso per riposare e ripararci un po’ dal caldo. A un certo momento il patriarca si rivolse a me, con un sorriso furbo, e mi disse: «Gianni, goditi bene questi giorni, perché la tua libertà sta per finire». Si riferiva al fatto che il suo successore, il patriarca Scola, avrebbe certamente preso delle decisioni, che avrebbero cambiato la mia vita. Così fu: dovetti lasciare l’Azione Cattolica e gli Esercizi Spirituali perché Scola mi scelse come suo vicario episcopale per la cultura… Il patriarca Marco era stato profeta!
Tra di noi amici è rimasto famoso il viaggio in Egitto, nel 2004: andò perduta, insieme a un’altra, la valigia del patriarca (gli fu recapitata quattro giorni dopo il ritorno, a casa). Noi, tutti agitati e preoccupati, eravamo colpiti dalla sua serenità: con grande pazienza accettò di girare con noi per negozi, in cerca anche di camicie e pantaloni, oltre a tutto il resto… L’esperienza, che chiunque avrebbe vissuto con disappunto, disagio e molta impazienza, fu invece affrontata dal patriarca con una certa tranquillità e, con un po’ di ironia, ci diceva: «Avete visto? Si può viaggiare anche senza valigia, anzi, è meglio così: niente fastidi e niente pesi…».
Una bella umanità illuminata dalla fede, quella del patriarca Marco: il desiderio di comunione, di far famiglia, l’attenzione agli altri (particolarmente ai piccoli), la semplicità e la fiducia nella Provvidenza hanno davvero caratterizzato la sua vita di cristiano mite e forte. Lo ricordo con immutato affetto.
Don Gianni Bernardi