Questa sera, come ogni anno il Patriarca Francesco ha presieduto la Santa Eucaristia per la Solennità del Santissimo Redentore nella omonima basilica nell’isola della Giudecca. Festa “venezianissima” e al contempo profondamente cristiana. Il popolo della Serenissima si era affidato a Cristo salvatore con questo titolo particolarmente “pasquale”, perché il concetto di redenzione ha a che fare proprio con la morte e la Resurrezione di Gesù. Vivendo la seconda festa del Redentore in tempo di Covid-19, il Patriarca ha infatti sottolineato che «Redenzione e salvezza hanno una loro caratteristica propria che dobbiamo imparare, infatti, se commettessimo l’errore di ridurre la salvezza e la speranza cristiana a conquiste umane, allora, rimarremmo presto delusi e confusi. Guardiamo al Redentore, alla Sua vita, per acquisire lo spessore sapienziale necessario al nostro modo di vivere, sentire, progettare, parlare, agire».
Il dolore e la morte di questa pandemia fanno sorgere domande e preoccupazioni su cui il Patriarca si è voluto soffermare particolarmente. Come può reggere la “pretesa” cristiana sulla salvezza davanti a drammi così grandi? «Certo, il male che sembra, e sottolineo il verbo “sembra” trionfare, la violenza, l’odio, le ingiustizie, la morte, rimangono le grandi obiezioni nei confronti di Dio e della storia della salvezza, infatti Dio ha inaugurato il tempo della benevolenza, del perdono e della riconciliazione, non quello del regolamento dei conti. E di questo tempo della misericordia, del perdono, noi siamo i primi beneficiari; noi viviamo la storia che non scorre nell’ “assenza” o nel “ritardo” di Dio bensì nella celebrazione della sua infinita pazienza, attestante il suo amore misericordioso per noi e della Sua strenua volontà di offrire a tutti la possibilità di convertirsi».
Tuttavia non possono mancare critiche alla testimonianza cristiana nel mondo: «Una critica che abitualmente viene rivolta ai cristiani è questa: annunciate tante belle cose ma, poi, non accade, nulla di tutto ciò; da duemila anni il mondo va sempre allo stesso modo, se non peggio, non è cambiato nulla. E la conclusione a cui arriva tale ragionamento è che la fede è una menzogna, da cui liberarsi e così vivere come se Dio non fosse…Ai cristiani, perciò, è chiesto – oggi più che mai – di annunciare la presenza di Dio in questo mondo con parole e comportamenti conseguenti, propri di chi è nel mondo ma non aderisce alla sua logica. Invece, non di rado, proprio noi i cristiani smarriamo tale sapienza e prospettiva escatologica; sì, siamo portati a ridurre la salvezza alla storia; il tutto alla parte e viceversa quando, piuttosto, dovremmo imparare a vivere nel solco di una fede, di una speranza, di una carità che abbiano un volto e un nome, la persona di Gesù, il Redentore».
Il Patriarca Francesco ha poi indicato tutti i pericoli, già più volte emersi con violenza nei totalitarismi del Novecento, insiti nel costruire una società ed una antropologia senza dare un ruolo centrale a Dio: «Tutto, allora, diventa liquido e precario, incominciando dall’uomo e dalle relazioni umane. Anche la tendenza o deriva del “politicamente corretto” – che domina nella comunicazione, nel linguaggio e nei diversi ambiti del sociale – rientra in una visione antropologica complessiva che porta anche qui a non attribuire più significato e gusto alla realtà impoverita di ogni accenno e riferimento alla verità e al bene. Se si mette da parte Dio, in realtà, non si abolisce Dio ma piuttosto l’uomo. La nostra stessa libertà se non ha un senso, una direzione, uno scopo che la porti a pienezza, alla fine è inutile, dà nausea, non è più significativa e praticabile. Che cos’è la libertà senza un senso, senza una direzione, senza un fine? Senza un essere liberi “per”. Per qualcuno, per qualcosa».
Quale dunque la via per la costruzione di una umanità vera? «È l’amore che genera l’uomo sul piano divino ed umano, l’amore di Dio e l’amore sponsale che è fecondità. L’amore è ciò di cui l’uomo è sempre alla ricerca, da bambino, da adulto, da anziano. […] Abbiamo bisogno di quell’amore eterno che ci ama da sempre; abbiamo bisogno di sentirci ripetere che siamo amati da sempre e per sempre; abbiamo bisogno di essere custoditi e di attingere nuovamente alle fonti vive e vere della salvezza e della speranza; abbiamo bisogno di sentir riecheggiare: “per sempre”. Più che di filosofie o etiche a cui fatichiamo a dare fondamenti condivisi, abbiamo bisogno di tornare a fissare lo sguardo su una persona: il Signore Gesù, il Santissimo Redentore. È Lui la sintesi e la testimonianza eterna dell’amore di Dio per l’umanità».
Al termine della celebrazione, alla quale hanno partecipato le autorità civili e militari ed una rappresentanza del clero veneziano, il Patriarca ha impartito la benedizione eucaristica alla Città dalla sommità della scalinata del tempio votivo del Redentore.
Marco Zane