«L’amore di Dio non si ferma di fronte alla sofferenza, al peccato e alla morte dell’uomo, cioè Dio non lascia mai solo l’uomo. È l’annuncio pasquale del Cristo risorto, è la mano di Dio che tiene sempre la mano dell’uomo. È ciò che ognuno si aspetta da Dio: che sia roccia e rifugio».
Steven Ruzza sa che questa è l’essenza del cristianesimo che annuncerà e testimonierà. L’ha fatto in questi anni di formazione; lo farà a maggior ragione d’ora in poi, da diacono e, in futuro, da sacerdote.
Le passeggiate filosofiche con Francesco, alle Zattere. Insieme a Francesco Andrighetti (vedi qui a sinistra) verrà ordinato diacono dal Patriarca Francesco, giovedì 7 dicembre in San Marco. Insieme, Steven e Francesco hanno condiviso molto negli anni di Seminario. A partire dalle “passeggiate filosofiche e teologiche” alla Zattere, dopo pranzo, commentando le lezioni o le esperienze della giornata.
Anche Steven, come Francesco, ha sempre unito l’interesse per il Vangelo a quello per la filosofia. E in filosofia si è laureato – la triennale a Trieste, la specialistica a Padova – prima di entrare in Seminario.
«Finita la laurea magistrale – ricorda il trentenne Steven – non volevo continuare e, magari, diventare professore. Lo studio mi aveva appassionato, sì, ma non fino al punto di pensare che la mia vita sarebbe stata tutta studio o docenza. Così mi sono ritrovato con il desiderio che sentivo già da bambino e che non mi aveva mai abbandonato. Il desiderio, cioè, di diventare sacerdote. Una percezione che era stata altalenante, ma che ogni tanto si faceva sentire, per esempio nei dialoghi con gli amici o nei momenti di preghiera. Tanto che ad un certo punto mi sono detto: se questo desiderio sussiste ancora, è giunto il momento di verificarlo».
Con lo stimolo di Francesco Marchesi, allora seminarista e accolito a Caorle, è così che Steven Ruzza, da sempre parrocchiano a Santo Stefano di Caorle, entra in Seminario.
Quella parola del Patriarca Marco… Una parola incisiva, tanto affettuosa quanto fulminante, Steven ricorda di averla sentita anche dal Patriarca Marco: «Mi ricordo che una volta mi ha detto: “Ma allora, quando ti decidi a dire di sì a Dio?”. Il card. Cè sapeva la mia storia, ero andato da lui a confessarmi e c’era un rapporto di affetto umano, di stima; ma quella frase mi ha trafitto».
Le scaturigini della vocazione, in realtà, anche per Steven, sono nel volto e nell’esempio di un prete: il parroco di quand’era bambino, don Giovanni Fattore. «Era amato da tutti a Caorle. E da un incontro con lui – io ero bambino – è nato in me il desiderio di essere prete. Ricordo che è morto il giorno prima del mio compleanno, avevo appena fatto la prima confessione: ho pianto tantissimo…».
È servito anche l’esempio di due zie suore; una, fino a poco tempo fa missionaria in Cile, verrà alla sua ordinazione diaconale. «Ogni telefonata con mia zia è una meditazione. Mi ha insegnato il valore dell’obbedienza, che a lei è costata molto ma che, per fede, ha fatto prevalere».
Altrettanto di rilievo, naturalmente, l’esempio dei genitori e di una famiglia profondamente convinta della fede.
Negli anni del Seminario, «cui devo moltissimo», anche il servizio e l’apprendistato pastorale in diverse realtà diocesane: la Comunità marciana, San Martino di Castello, il Lido di Venezia e San Giovanni Battista di Jesolo. E l’esperienza scout nel gruppo Venezia 6, quello che va dai Frari a San Nicolò dei Mendicoli: «Mi ha sorpreso. Mi ha impressionato vedere quaranta ragazzini fra le medie e le superiori frequentare con passione un ambiente cattolico ed educativo: non è cosa ordinaria».
«Io, che sarei un po’ perfettino, ho imparato a…». Ma questi sono stati anche gli anni in cui Steven ha imparato a lavorare su se stesso, come uomo e come cristiano: «Io, che sarei un po’ perfettino e vorrei che gli altri aderissero a come sono fatto io, ho imparato a mettermi in ascolto della diversità, accettando di lasciarmi interpellare da ciò che capita negli incontri e nelle circostanze della giornata. Mi sono accorto quanto conti l’essere disponibile, il non decidere io come devono andare le cose, ma lo stare di fronte con rispetto e fiducia alla diversità».
Giorgio Malavasi