Una figura complessa, quella di Paolo di Tarso, che ancora oggi ha tanto da trasmettere e da insegnare. Tra le tematiche più attuali affrontate nella prima lettera ai Tessalonicesi, quella della speranza.
A sostenerlo è don Lucio Cilia, biblista nonché parroco a Jesolo, in occasione della seconda conferenza introduttiva all’argomento scelto per i corsi di Scuola biblica diocesana di quest’anno.
«Quale speranza ci attende, cosa c’è dopo la morte, cosa pensare quando i nostri cari ci lasciano; oggi», argomenta don Lucio: «Su questo tema c’è un’idea diffusa che qualcosa ci sia; eppure spesso i nostri funerali possono essere segni dove tutto si concentra sull’esteriorità. Ma la vera tematica è la speranza».
Numerosi i presenti che venerdì scorso – a pochi giorni dall’inizio delle lezioni della Scuola, giunta ormai alla 38a edizione – hanno seguito con attenzione la spiegazione dell’ex rettore del Seminario patriarcale di Venezia.
Il primo incontro è stato tenuto il 5 ottobre da don Girolami, professore presso la Facoltà Teologica del Triveneto, che ha delineato i tratti distintivi della personalità di Paolo. «Oggi chiediamo a don Lucio di conoscere meglio la comunità dei Tessalonicesi fondata da Paolo, una comunità – afferma don Mauro Deppieri, direttore della Scuola biblica – che egli ama in modo appassionato e che gli permette di godere dei frutti del Vangelo».
Il “corpus paolinum”, cosa dice la ricerca storica. Due le fonti – spiega don Cilia – solitamente utilizzate per ricostruire l’attività di Paolo: le sue lettere e gli Atti degli Apostoli. Per ciò che riguarda le prime (il cosiddetto corpus paolinum) s’intendono le 13 lettere aventi come mittente Paolo la cui comprensione, come testimoniato da Pietro, non era ritenuta sempre cosa facile.
In realtà Paolo, attraverso la prima lettera ai Corinti, fa intendere come il corpus fosse più ampio di quello che possediamo, segno che qualcosa, nella trasmissione dei testi, sia andato perduto. La ricerca storico-critica ha inoltre evidenziato come 7 delle 13 lettere siano certamente attribuibili a Paolo (tra queste la prima ai Tessalonicesi), 3 siano considerate dubbie e altrettante – definite “pastorali” – non siano sue.
La città di Tessalonica, un retroterra sensibile. Fondata nel 315 a.C., Tessalonica era una ricca città commerciale governata dai politarchi, informazione che si può trovare in Atti (17,5-8). Importante il culto delle classi più povere (trasmigrato in seguito fra le più abbienti) verso il dio Cabirio. «Alcune fonti dicono che la sensibilità per questo dio assassinato e poi tornato in vita – sottolinea don Cilia – abbia preparato la gente ad accogliere l’annuncio di Paolo che parlava di un giovane, Gesù, morto in croce e risorto. Le classi più umili si riappropriarono così di un culto tutto loro».
Filippi (dove ha fondato la prima comunità), Tessalonica, Berea, Atene, Corinto: questi i luoghi toccati da Paolo in un susseguirsi di vicende che, secondo l’evangelista Luca, seguono uno schema ricorrente. Dopo la predicazione e l’incontro con la gente del posto (come Lidia e Giasone), si verificano infatti la persecuzione e la fuga.
Scrivere per completare l’insegnamento. “(…) mandai a prendere notizie della vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse messi alla prova e che la nostra fatica non fosse servita a nulla” (1Ts 3,5). Giunto ad Atene, Paolo scrive così ai Tessalonicesi temendo che, a causa del suo allontanamento improvviso, la predicazione fosse stata mal compresa.
«Il suo obiettivo è dunque quello di consolidare il legame con loro e di completare l’insegnamento», afferma don Cilia, spiegando come all’inizio della lettera ai Tessalonicesi sia interessante notare la prima ricorrenza, in un testo cristiano, del termine ekklesia. «Paolo parla molto di sé – aggiunge – poiché ritiene che se il legame dell’apostolo con la comunità è la garanzia della fede, il suo stile di vita è la carta vincente che fa sì che il messaggio sia da essa accolto. E il binomio che Paolo usa per mostrare la verità del Vangelo è quello tribolazione-gioia: se io, perseguitato, ho la forza e la gioia di annunciare il Vangelo, vuol dire che ho avuto un incontro con Cristo, in grado di dar forza anche in mezzo alle tribolazioni».
Marta Gasparon