«Un certo inferno l’ho sperimentato anch’io. Era per la vita che facevo, incentrata solo su me stesso e su progetti la cui logica era “faccio quello che voglio”. Tutto però portava sempre all’insoddisfazione. Poi un giorno ho sentito parlare con forza dell’amore di Dio per me: cioè che Lui ci ama tutti e dà la vita per tutti. Adesso, quando penso a quell’occasione, sono convinto che sia stato il momento più bello della mia vita, in cui ho sentito e sperimentato il Suo sguardo d’amore. Così forte, poi, non l’ho più sentito, ma quella sensazione mi è rimasta dentro ed è diventata una convinzione profonda».
Così – improvvisamente, ma con la forza di un uragano preparato da tempo – la vita di Bogumil Wasiewicz è cambiata e conduce alla tappa dei prossimi giorni.
28 anni, per tutti Bogus, il giovane è il seminarista del Seminario diocesano che sabato 6 novembre alle ore 10, nella basilica di San Marco, verrà ordinato diacono dal Patriarca Francesco. Insieme a lui fra Mattia Senzani.
Bogus è di Varsavia, sesto di sette fratelli di una grande famiglia «che ci tiene a stare insieme, anche se qualche volta si litiga». Una famiglia cristiana, che in Cristo ha trovato un’àncora di stabilità. Per mamma e papà c’è infatti un momento a partire dal quale molte cose cambiano: quello in cui riescono a superare una grave crisi coniugale. «Loro sono credenti, molto», ricorda Bogus: «Mi hanno trasmesso fin da bambino una fede molto vissuta, dove vissuta significa che senza Gesù e senza il suo perdono non sarebbero più insieme».
Una parte di quella fatica si deve anche alla storia: le condizioni di vita, nella Polonia comunista degli anni ’70-’80, erano pesanti: «Io non ho vissuto quella stagione, ma dai racconti che ho sentito so che c’era tanta miseria, tanto grigio… A Varsavia, d’altronde, vedi ancora quei blocchi enormi di cemento che erano l’abitazione di tutti, e anch’io ci ho vissuto parecchi anni in uno così… Insieme c’erano anche cose stranamente positive: tutti avevano una casa e un lavoro. Eppure la povertà c’era. Perciò, visto che c’erano pochi soldi, papà è migrato due anni in Svezia per lavorare. Miracolosamente è riuscito a uscire e mamma si è trovata da sola con due figlie. Non era un tempo facile e lì si aprì la crisi. Solo l’aiuto del perdono di Cristo li ha tenuti insieme. Così come solo la testimonianza forte della Chiesa ha tenuto insieme il Paese».
Il quartiere dove abitavano i Wasiewicz, nella capitale polacca, era quello di padre Jerzy Popieluszko, il sacerdote assassinato dal regime nel 1984 e ora proclamato beato: «Mio papà – ricorda Bogus – partecipava alle sue Messe per la patria e ancora oggi prega, ogni giovedì, sulla sua tomba, affidandogli il nostro Seminario».
Ma questa è la premessa: Bogus, infatti, nato nel 1993, cresce in una Polonia molto più occidentale. A 13 anni segue per la prima volta una catechesi del Cammino e poi entra in una comunità neocatecumenale, ma senza grande trasporto: «A 13 anni non hai idea di cosa si stia dicendo; però senti la Parola di Dio e vivi vicino a persone che la stanno mettendo in pratica».
Tutto può tornare… Bogus adolescente, però, è un ragazzo tanto spensierato quanto ribelle. Nel liceo cattolico dove i genitori lo iscrivono lui frequenta controvoglia e viene rimproverato spesso dal preside: «Mi riprendeva perché gridavo, dicevo parolacce, non ero un ragazzo tranquillo. Allora mi infastidiva, ma oggi lo ringrazio, perché era un vero padre educatore, un santo uomo che riusciva a trasmettere il senso della scuola, che non è nei voti o nella carriera che farai dopo».
Ma certe cose si capiscono con il tempo. Bogus assorbe, ma non è consapevole fino….: «Fino a quel 2014, quando Kiko, il fondatore del Cammino, è venuto a Varsavia a tenere una catechesi. Io ero all’università ma ero esistenzialmente abbastanza perso, non vedevo dove andare. Avevo scelto giornalismo, ma solo perché non volevo impegnarmi… Poi ho trovato una ragazza, non credente. Tutti dicevano che ero felice ma io, dentro, vivevo il non senso, ero infelice. La Chiesa non l’ho mai abbandonata, però non sentivo niente. E la scelta di quella ragazza dimostrava a maggior ragione che non provavo niente. È stato un tempo di sparpagliamento esistenziale».
A quel punto avviene la svolta, per le parole di Kiko e di un altro sacerdote, che gli illuminano il vero desiderio e la vera strada: «Ricordo in particolare la testimonianza di un prete di Mestre, don Gianvito, e una sua frase: “Non esiste cosa più bella al mondo che salvare la gente dall’inferno”. E io un certo inferno lo sperimentavo…».
Da lì il percorso verso il sacerdozio, secondo le modalità tipiche del Cammino, tra cui c’è anche la disponibilità ad andare là dove venga indicato. Anche a Venezia, come in effetti è successo.
«Certo – riflette oggi il giovane, ormai prossimo diacono – i dubbi, i ripensamenti e le cadute ci sono stati, in questi anni. Ma ricordo sempre quel che mi ha detto un altro sacerdote, don Antonio, che ritengo il coautore della mia vocazione. Un giorno che sono andato a chiedergli consiglio, mi ha detto: “L’unica cosa che mi preme è capire se tu voglia perdere la vita per Cristo e per la Chiesa”. Queste sue parole – conclude Bogus – mi hanno aiutato tantissimo. E ho capito che la mia risposta è “sì”».
Giorgio Malavasi