L’insegnamento di Sant’Ambrogio e la sua testimonianza cristiana: questo il cuore della secondo giornata di pellegrinaggio a Milano, martedì 19 settembre, del folto gruppo di sacerdoti e seminaristi veneziani – 29 persone – guidati dal Patriarca Francesco.
Guida della giornata mons. Francesco Braschi, Viceprefetto e Dottore della Biblioteca Ambrosiana, che ha introdotto la figura di Sant’Ambrogio: «È rimasto se stesso anche dopo essere diventato cristiano; c’è una continuità ricca e preziosa tra la sua vicenda umana (e intellettuale) e cristiana». Nella convinzione del santo non c’è peccato che non sia originato da ignoranza, riguardo Dio, l’uomo o il mondo. Da qui l’idea di onorare il vescovo costituendo un luogo per aiutare a liberarsi dell’ignoranza.
Ecco, dunque, la Biblioteca Ambrosiana, il cui accesso era pensato non solo per una élite colta, che sapesse il latino, ma per chiunque fosse in grado di leggere (non a caso esiste una targa, scritta in italiano minacciante scomunica in caso di mancata restituzione di volumi…).
Di Ambrogio, ancora, è stata sottolineata la formazione giuridica. Non è “vescovo di corte”. Non voleva neanche diventare vescovo. È mandato a Milano come governatore. La sua nomina episcopale l’accetta in obbedienza al responso dell’imperatore interpellato al riguardo: Ambrogio riconosce nel suo parere la volontà di Dio. «Non c’è una visione intimistica della vocazione. All’epoca, la vera svolta vocazionale avveniva col battesimo», commenta mons. Braschi che, di Ambrogio, rimarca l’attenzione alle vergini e al culto dei martiri: l’indicazione morale si ricava solo dopo aver compiuto una lettura misterica (spirituale) di un fatto storico.
Dalla pienezza del mistero accolto si parte per vivere una vita morale cristomorfa/cristocentrica: «Ogni anima è chiamata a concepire e partorire il Verbo: questo il punto di arrivo della mistica – cristologica – di Ambrogio».
Infine, nel panegirico nel trigesimo della morte dell’imperatore Teodosio, Ambrogio tematizza due capisaldi del suo pensiero: il primo è che la Chiesa non è soggetta all’imperatore, anche se lo onora; il secondo che l’imperatore riconosce nella Chiesa un aiuto; essa si preoccupa di prendersi cura della salvezza dell’imperatore, se questi è cristiano.
Da Ambrogio alla riflessione del Patriarca che, nell’omelia della Messa di martedì, a partire dalle letture della festa di S. Carlo Borromeo invita i suoi presbiteri a riflettere su come viene esercitato il ministero: «Il presbitero presiede in nome e per mandato del vescovo. Lo deve fare ‘con diligenza’. ‘Diligere’ vuol dire ‘amare’. È l’amore ciò che soprattutto contraddistingue il ministero ordinato. Amiamo il Signore? È questa la condizione fondamentale».
Poi, il minimo comune denominatore dei santi “incontrati” in questo pellegrinaggio è che la loro priorità è stata “dire e dare Gesù”. Occorre andare contro la logica del politicamente corretto e del buonismo, per non incorrere nel rischio di essere “pastori afoni, privi di voce”. Il linguaggio, le parole, devono essere improntati a diligenza (amore), saggezza, prudenza, evitando quell’enfasi che è controproducente. Ma anche i toni “inclusivi, politicamente corretti, che non rendono ragione più del mistero di Cristo, del dramma della Redenzione, della bellezza e radicalità della conversione”.
L’invito finale del Patriarca è ad essere grati al Signore per il ministero ordinato, riconoscendo la grazia particolare ricevuta, e a esaminarsi per vedere come si è preti con gli altri preti e con il vescovo: «Verifichiamo se stiamo veramente dando quello che possiamo, o stiamo guardando troppo gli altri rassicurandoci che stiamo facendo abbastanza. Se i santi vescovi del nostro pellegrinaggio avessero pensato così, non sarebbero diventati le guide dei vescovi del loro tempo».