Imparare a rendere ragione di più e meglio della propria fede, grazie a una maggiore esperienza e a migliori conoscenze delle cose di Dio.
È l’invito-augurio che il Patriarca fa ai presenti nella chiesa del cimitero di Mestre, riflettendo sulle letture dell’Eucaristia odierna, nell’omelia della Messa celebrata nel pomeriggio di giovedì 1° novembre.
C’è una frase attribuita a Yuri Gagarin – ricorda il Patriarca – che sarebbe stata pronunciata dal cosmonauta durante il suo famosissimo viaggio nello spazio, il primo di un essere umano in orbita attorno alla Terra, il 12 aprile 1961. Gagarin avrebbe detto: «Qui in cielo non vedo alcun Dio».
Quella frase, che doveva fungere da sostegno fondamentale dell’ateismo di Stato dell’Unione Sovietica, in realtà deforma e tradisce ciò di cui vorrebbe parlare: Dio.
Mons. Moraglia sottolinea invece come un’esperienza straordinariamente umana, come l’amore, dica molto di più anche rispetto a Dio: «I fidanzati, gli innamorati hanno dei loro simboli, dei linguaggi, dei codici espressivi che vanno aldilà del linguaggio e del codice stesso usato: cioè dicono di più del codice usato. Cosa vuol dire, allora, la parola “cielo”? Gesù non è andato in cielo, Gesù è il cielo. Dobbiamo quindi capire che il linguaggio è finalizzato a una realtà; invece noi tendiamo a fare del simbolo il fine. Il linguaggio è cioè espressivo di una realtà, ma è anche ingabbiato in una logica umana insufficiente ad esprimere il mistero. Gesù, perciò, non va in cielo ma è il cielo. Se non capiamo questo, potremmo salire anche più in alto di dov’è andato Yuri Gagarin e dire come lui “io qui non vedo nessun Dio”».
Ma Dio e la fede sono un’altra cosa. Consapevolezze da acquisire coltivandole. Cioè andando oltre quel livello troppo diffuso di conoscenza minimale delle cose di Dio: quello di chi si ferma alla catechesi fatta entro i 12-13 anni, prima della Cresima. E poi stop.
Certo – riconosce il Patriarca Francesco – nella storia ci sono anche tanti santi che non hanno avuto un’enorme cultura: «Ma avevano una grande esperienza di Dio. La conoscenza di Dio i santi se la facevano in ginocchio, alzandosi presto al mattino e stando dinanzi al Signore. Per noi, allora, c’è bisogno di riscoprire le certezze della fede, di imparare o di tornare a imparare la grammatica della fede. Così ritroveremo anche la consapevolezza e la completezza della fede cristiana». (G.M.)