«Se dovessi pensare a dei momenti originari della mia vocazione, ritorno a quando da piccolo facevo il ministrante o a qualche confessione molto bella vissuta con alcuni sacerdoti». Parla così don Marco Zane, trentaduenne mestrino, ringraziando la vita per il dono della testimonianza di tanti bravi preti incontrati negli anni. Esempi per lui significativi, in primis il suo parroco di San Marco Evangelista, don Adriano Celeghin, ma anche tanti altri che con il loro stile, modo di pregare e relazionarsi col prossimo hanno saputo manifestare l’amore per Cristo.
Don Marco ha sempre serbato nel cuore, in fondo, il desiderio di consacrarsi a Dio, nella convinzione che la via più giusta per lui fosse quella del presbiterio diocesano. «Non vedevo altri modi – riflette – di vivere la consacrazione». Da una semplice idea, alla cosiddetta età delle scelte: gli anni universitari.
Iscrittosi a Giurisprudenza, ha raggiunto l’ultimo anno senza tuttavia completare gli studi, ha frequentato la Fuci divenendone il presidente a Treviso (dove studiava) e dal 2008 al 2010 ha assunto l’incarico di co-direttore della rivista nazionale della Federazione. Anni importanti, per don Marco, che hanno segnato il suo percorso. A cui va aggiunta anche la frequentazione della cappella universitaria – insieme a lui vi erano tanti giovani, tra i quali anche alcuni futuri sacerdoti – e del gruppo vocazionale diocesano voluto dal card. Scola. «Dove sono stato aiutato a far emergere anche quelli che potevano essere i segni della mia vocazione».
E tra coloro che l’hanno aiutato molto nel compiere il passo decisivo – l’ingresso in seminario – c’è stato don Federico Bertotto, suo migliore amico nonché parrocchiano con il quale è cresciuto sin da piccolo, entrato in seminario tre anni prima di lui. «Sono sempre stato molto legato alla mia realtà parrocchiale, – tiene a sottolineare – una delle cose più belle del ministero sacerdotale vissuto in parrocchia è il fatto che ti permette di toccare con mano realtà anche molto diverse tra loro. E per quanto tu possa avere anche dei ritmi scanditi, le giornate non sono mai uguali l’una all’altra».
«Il Seminario mi ha reso più consapevole». Che la vita comunitaria non sia sempre facile in quanto porta ad un’autonomia più limitata e ad un confronto con gli altri che può anche far emergere gli aspetti più spigolosi del proprio carattere, per don Marco è un dato di fatto. Ma è altrettanto vero che, volgendo lo sguardo a questi sette anni in Seminario che sta per lasciarsi alle spalle, che comprendono anche una collaborazione ai Carmini, San Trovaso e Gesuati, le cose imparate sono molteplici.
«Credo che il tempo trascorso in Seminario – è il bilancio – sia stato utile per rendermi più consapevole dei miei limiti e delle mie capacità. E del fatto che è sempre bene, nonostante il nostro impegno, mettere tutto nelle mani del Signore. Non solo, anche per riconoscere che alcune occasioni di fallimento della mia vita si sono trasformate in grazia e per mettere in discussione il mio orgoglio».
Il tempo della responsabilità. Il futuro è ancora tutto da scrivere, il presente è fatto soprattutto di gioia. E se da un lato il momento dell’ordinazione sacerdotale sembrava un evento tanto lontano, ora inizia a farsi sentire il senso di responsabilità.
«Soprattutto per quanto riguarda l’abilitazione ad assolvere. Chiedo al Signore di avere sempre un cuore libero per accettare tutto quello che mi chiederà. Ciò che più mi emozionerà i primi giorni? Celebrare l’Eucaristia durante la quale il sacerdote vive un’identificazione profonda con la persona di Cristo».
Marta Gasparon