In riferimento alle affermazioni riportate in questi giorni su alcuni media, una nota del Patriarcato di Venezia osserva che il Patriarca Francesco Moraglia è intervenuto più volte, anche negli ultimi tempi, sulla questione dell’utilizzo delle chiese veneziane e sui criteri complessivi da tenere presenti in merito.
Sull’argomento è da tempo in corso un cammino comune – condiviso con gli organi di partecipazione diocesani – che proseguirà anche attraverso lo strumento dell’ormai imminente Visita pastorale.
In una recente intervista il Patriarca aveva così espresso il pensiero suo e della Diocesi di Venezia sull’argomento: “Quello che stiamo avviando è un processo di riflessione, valutazione e decisione che coinvolgerà in particolare gli organi diocesani di partecipazione: si tratta di maturare un sentire comune che tenga conto, in questo caso specifico, delle esigenze pastorali dei vari sestieri del centro storico veneziano. La Visita pastorale che sta per iniziare e che, nei prossimi anni, attraverserà tutte le parrocchie della Diocesi aiuterà senz’altro lo sviluppo di questo cammino. Per quanto riguarda quegli edifici sacri che risultano o risulteranno non più utilizzati per fini liturgici (nella foto la chiesa dello Spirito Santo alle Zattere, ndr), non si tratta ovviamente di aprire ad un uso indiscriminato, anzi… Si pensa piuttosto di valorizzarli – tenendo conto anche della legislazione vigente per tali strutture – come qualificati luoghi di catechesi e di proposta culturale, orientata dalla fede cristiana, attraverso l’arte in tutte le sue forme (scultura, pittura, musica sacra ecc.) ed anche, laddove possibile, come luoghi di carità e accompagnamento spirituale”.
E similmente, nell’intervento svolto durante l’incontro dei Comitati Privati per la Salvaguardia di Venezia tenutosi a Palazzo Ducale nello scorso aprile (il testo integrale è tuttora reperibile su www.patriarcatovenezia.it), sempre il Patriarca aveva sottolineato che “a Venezia, vi sono problemi conservativi urgenti che riguardano molte chiese e che il loro numero (un centinaio in città e oltre 200 nell’intera Diocesi) richiede di riflettere su una razionalizzazione del loro ruolo liturgico e pastorale, spesso anche a fronte dell’innegabile flessione demografica (specialmente del centro storico). Sarà quindi necessario individuare gli edifici che, effettivamente, non rispondono più a specifici bisogni pastorali ed è compito della Chiesa locale individuare soluzioni e proposte per rendere “utili” – ad esempio in ambito culturale e caritativo – alla stessa collettività quei luoghi, senza far perdere mai la loro dimensione simbolica in nome di un funzionalismo o “polivalenza” che non solo li impoverisce ma addirittura li snatura”.
Alla luce di queste considerazioni – come è evidente – viene a cadere e perde fondamento la stessa fuorviante insinuazione sul mero “fine economico”, sostenuta senza tener conto dell’effettivo stato delle cose. La rilevanza della questione richiederebbe invece attenzione non superficiale, capacità di approfondimento, corretta e adeguata informazione.