Entra in una chiesa di via Piave. Non capisce nulla di ciò che dice il prete. Nemmeno le risposte dell’uditorio.
Quando vede i vicini di banco alzarsi si alza anche lui. Quando si siedono idem. Quando si fanno il segno della croce li imita ancora.
È la sua prima volta. La prima messa di Larry Ehigiamusde. In tutto quel non capir nulla di una lingua incomprensibile, arriva una certezza che non ha bisogno di parole. «Io voglio battezzarmi. Voglio diventare cristiano. Gesù ha fatto cose grandi in tutta la mia vita. Sono ancora vivo e lo devo a Lui».
«Ma io sono un ragazzo fortunato…». In realtà gliene ha fatte passare di tutti i colori a questo libanese di origini nigeriane. Tutte concentrate in 22 anni di vita: abbandonato dalla mamma, il papà morto in guerra, è stato anche venduto in segreto da un amico del padre a un noto trafficante arabo.
Poi il barcone in cui ha rischiato la vita e quell’anno e mezzo alla ex base di Conetta, in un posto che tutto gli sembrava fuorché Italia. «Ma io sono un ragazzo fortunato, lo sono sempre stato. E voglio diventare figlio di Gesù».
Un abbraccio incondizionato al cattolicesimo, assicura chi lo conosce. Così come lo è quello degli altri due giovani che domenica verranno battezzati con lui. Vista l’eccezionalità, lo farà il patriarca Francesco Moraglia in San Marco, domenica 9 alle ore 18.45 in basilica di San Marco, insieme ad altri due catecumenti adulti.
Sono un rifugiato nigeriano già chierichetto e un veronese con un’infanzia da testimone di Geova. «È come se avessi sempre saputo che Gesù mi stava aiutando – dice Larry – consapevole di averlo sempre con me, sempre al mio fianco».
«I nigeriani non spacciano tutti la droga in via Piave. «Avete visto?», si rivolge a qualche italiano mentre si dà da fare con la scuola e i corsi di logistica e di muletto per diventare magazziniere: «I nigeriani non spacciano tutti la droga in via Piave. E quelli che sbagliando lo fanno, ricordiamoci che hanno tutti a capo un trafficante italiano».
Larry va fiero del suo processo di integrazione. Anche se a Cona, due anni fa, ha visto la peggior accoglienza nostrana. «Ho mangiato riso per un anno tutti i santi giorni. Ora non lo voglio vedere neanche con il binocolo» ci scherza su.
«Lì eravamo allo sbando. Accampati. Senza regole igieniche in una tensostruttura in mezzo ai campi. C’erano persone che non facevano niente dalla mattina alla sera. Mi sono dato da fare per imparare a tagliare i capelli. Così facevo qualcosa di utile e apprendevo una nuova attività. Ci sono stato un anno e 10 mesi. Non potevo neanche scappare. Dove andavo? Non c’era nulla, non conoscevo nessuno».
Lui ricorda ancora il suo numero di matricola: 1800. «Quando è finito tutto e ho messo piede a Mestre sono rinato».
Venduto a un trafficante. Larry è nato la prima volta nel deserto. «Non posso avere un attestato di nascita. Ma sono un ragazzo fortunato». Larry lo ripete come un mantra. «Mia mamma mi ha lasciato quando avevo due anni. Non so perché. Papà è morto durante questa guerra in Libia. Poi ho vissuto con un amico di mio padre e la sua compagna. Ma non è stato facile. A un certo punto lui ha deciso di tornare nel suo Paese, il Ghana. Mi ha detto che non poteva portarmi con lui. Mi ha venduto a un trafficante arabo, ma mi ha fatto credere di avermi affidato a lui per tornare presto in Libia a riprendermi. Nella tenuta del trafficante, a Tripoli, ho fatto il servo. Cucinavo, aprivo e chiudevo i cancelli, facevo le pulizie».
Era impossibile scappare da lì. Il suo padrone corrompeva anche le forze di polizia. Finché Larry si è visto uccidere due compagni davanti agli occhi. Poi hanno arrestato il trafficante che lo teneva in pugno e lui si è trovato improvvisamente libero e solo. «Ho pensato “Non posso più vivere così, non posso morire come mio padre. I miei figli che non sono ancora nati non possono vivere la mia stessa vita”».
Cosa vuol dire prendere il barcone giusto… Così ha conosciuto gli scafisti. Ha pagato 400 dinar e dopo un mese ha lasciato la Libia. Doveva salire sul barcone del mattino. Anzi ci è salito, ma è stato fatto scendere prima della partenza insieme ad altri tre per alleggerire il carico. Ed è stata la sua fortuna. «Ero così dispiaciuto lì per lì. Volevo partire subito. Mi hanno fatto salire su quello che è partito qualche ora dopo. Siamo stati ore in mare. Ma giuro che se fossimo tornati indietro mi sarei buttato in mare piuttosto che tornare in Libia. Poi ci ha salvato la Croce rossa».
Tutti salvi. «I volontari mi hanno detto che nel barcone prima del mio erano morti tutti. Se fossi rimasto lì sarei morto con loro». E nella penisola inizia la nuova vita di Larry. «Qui da voi sono nato per la seconda volta».
Giulia Busetto