«Marco ribadisce che Gesù non è una ideologia o una scelta etica; Gesù non lo si impara come una lezione, ma lo si incontra personalmente. E quando si lascia tutto e lo si segue, lo si fa per “stare”, “dimorare”, “rimanere” con Lui. Questo è l’inizio del vero discepolato e questo dobbiamo riscoprire: il rapporto personale con Gesù».
Lo pone decisamente in rilievo il Patriarca Francesco, nell’omelia della Messa presieduta stamattina nella basilica Cattedrale, il giorno della festa di San Marco, patrono della città e della Chiesa veneziana.
Nella Basilica gremita, presente il Sindaco Luigi Brugnaro, le autorità, le Confraternite e le associazioni, anche le tradizioni si sono rinnovate, a partire da quelle del dono del “bocolo”, fatto dai gondolieri. Insieme al “bocolo” di rosa, i frutti della terra.
Mons. Moraglia, nella sua meditazione, mette in luce un elemento essenziale dei Vangeli, ma in particolare di quelli di Marco e di Giovanni: «Scritti a molti anni di distanza, in contesti diversi, da autori differenti, per comunità con storie e culture diverse, dicono la stessa cosa, ossia che i discepoli, prima di tutto, devono stare con Lui e abitare in Lui. E così allo “stare con Lui“ di Marco corrisponde il “dimorare” e il “rimanere con Lui” di Giovanni».
Questa è la situazione del discepolo che si caratterizza per il rapporto personale col Signore: «I discepoli, infatti, lasciano tutto per Gesù: case, fratelli, sorelle, padre, madre, figli, campi… (cfr. Mt 19,29); per i discepoli, quindi, è essenziale “stare” col Signore, “dimorare”, “rimanere” con Lui.
Un riscontro, di segno opposto, l’abbiamo nell’episodio del giovane ricco che, invitato da Gesù a lasciare tutto e seguirlo, preferisce “dimorare”, “stare” e “rimanere” con le sue tante ricchezze (cfr. Mt 19,16-22)».
Ne consegue un chiaro modo di porsi: «Si tratta – prosegue il Patriarca – di prendere le distanze da “stili” troppo umani, frutto di abitudini che sostituiscono l’ermeneutica che è Gesù – via, verità e vita (Gv 14,6) – con ermeneutiche di tipo psicologico, sociologico e politico che esprimono un Vangelo più “aggiornato” e accetto al mondo ma che in realtà, costituiscono veri cedimenti, perché distolgono i discepoli dal Signore Gesù. È infatti Gesù – che deve rimanere – il criterio di discernimento per i discepoli e la Chiesa di ogni tempo».
Se Gesù fosse una teoria o una decisione etica – prosegue mons. Moraglia nell’omelia – sarebbe qualcosa di solo umano…: «No, Gesù è l’umanità di Dio, qualcosa che sfugge alle possibilità dell’uomo. Gesù Cristo, ovvero il Vangelo, è Colui al quale ci si avvicina con la propria storia, le proprie ferite, la propria fragile volontà di bene».
Marco dice quindi con forza – come Giovanni – «che il discepolo, prima d’essere colui che fa qualcosa, è colui che “sta” col Signore, “rimane” e “dimora” con lui. Il discepolo deve passare da una situazione in cui è ancora “esterno” rispetto al Vangelo ad una in cui entra a far parte del mistero di Dio».
«Tutto nasce – conclude il Patriarca – da discepoli che hanno un cuore desideroso di conversione, disposti a un cammino che conduca al cuore stesso del Vangelo attraverso la conversione; ciò che viene prima di ogni altra cosa è porre la propria vita a servizio del Regno, ossia di Gesù. Marco, col suo Vangelo, afferma con grande forza che l’unico atteggiamento per incontrare realmente Gesù è entrare nel suo mistero e “abitarvi”. Non a caso, le prime parole del suo Vangelo ne costituiscono già il centro e il vertice: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1).