«Lo splendore della bellezza del volto di Gesù sarà gioia speciale per don Aldo, sacerdote che amava la liturgia, apprezzava l’arte in ogni sua forma, ovunque si manifestasse, e nelle chiese amava vedere come la fede si esprimesse anche attraverso la bellezza, la bellezza del canto, della pittura, della scultura, dell’architettura».
Così il Patriarca ricorda, nell’omelia della Messa delle esequie, celebrata venerdì mattina nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia, don Aldo Marangoni. Il sacerdote si è spento a 85 anni, domenica 8, all’Ospedale civile.
Mons. Moraglia ha portato anche la vicinanza e le condoglianze di mons. Beniamino Pizziol, vescovo di Vicenza e, quand’era parroco a Venezia, successore proprio di don Marangoni nell’incarico di Preside del Collegio urbano dei parroci di Venezia.
«Il primo sabato del mese di marzo, di ritorno dal pellegrinaggio mariano – ha ricordato il Patriarca – ho potuto amministrare personalmente il sacramento dell’unzione a don Aldo. Le sue forze declinavano sempre più, tanto che si era reso necessario il ricovero ospedaliero. Partecipò alla celebrazione in modo cosciente, con fede, contento di poter vivere quel momento così importante nella vita del cristiano».
Il Patriarca si è poi soffermato sui «due grandi doni – la vita e il sacerdozio – e, in più, doni che, per la bontà di Dio, in don Aldo si sono protratti a lungo nel tempo. Il dono grande del sacerdozio ministeriale, esercitato nelle diverse stagioni della vita, dice una particolare benedizione del Signore; sì, esercitare il ministero nelle diverse stagioni della vita offre differenti e molteplici opportunità. Esercitare il ministero a trenta o quarant’anni è diverso rispetto a quando se ne hanno settanta o ottanta; infatti, il trascorrere degli anni, le prove della vita, la fedeltà alla vocazione, arricchiscono e donano saggezza, bontà, pazienza, ovvero virtù profondamente sacerdotali che si esprimono in un più intenso rapporto con Dio e con i confratelli nella vita di comunione – il presbiterio – e di dono di sé al popolo che non si è scelto ma al quale si è stati mandati».
Rivestono anche particolare importanza – continua mons. Moraglia nella meditazione – i tempi della fragilità, della malattia e dell’età avanzata in cui Dio parla e dice cose che prima, presi da mille cose, non si erano intese.
«Nella parabola evangelica delle vergini stolte e sagge Gesù ricorda come per i discepoli non esistano automatismi ma che, nella vita del cristiano, tutto è verificato – cioè, reso vero – dalla vigilanza, ossia dall’amore fedele. Così il Vangelo ci ricorda quello che veramente conta nella vita del cristiano – e a maggior ragione del prete -, ossia l’attesa fedele dell’incontro col Signore Gesù, lo Sposo che viene. Non si sa quando, ma si è certi della sua venuta».