Oltre il rischio di distrarsi per mettere a fuoco le strategie organizzative, con l’attenzione desta a cogliere e riscoprire l’essenziale dell’annuncio cristiano.
È il messaggio di fondo che il Patriarca invita a considerare e a metabolizzare. Mons. Moraglia ne parlerà diffusamente nella sua relazione, domenica 30 settembre all’Istituto salesiano San Marco di Mestre (alal Gazzera). Lì, a partire dalle ore 9, si terrà la giornata di formazione aperta a tutti.
Questo è inoltre il cuore della sua nuova lettera pastorale, di cui anticipa qui alcuni aspetti.
Patriarca, perché ha scelto di mettere a fuoco un tema – il kerygma, il primo annuncio cristiano – che dovrebbe essere quasi giocoforza fondamentale ed essenziale? Avverte il pericolo che Cristo morto e risorto sia divenuto marginale nella vita dei credenti e anche nelle attività messe in piedi dalle comunità ecclesiali?
Nella prassi pastorale, in effetti, potrebbe succedere (e talvolta succede) che le scelte e le vie seguite si riducano a delle strategie organizzative, perdendo di vista il fondamento sacramentale della Chiesa che è la passione-morte-risurrezione di Gesù e di quanto ciò implica, nella vita di tutti i giorni, come la cambi e la trasformi. In quanto discepoli del Risorto mai possiamo prescindere dalla croce e mai dobbiamo dimenticare che non siamo salvati da un gesto di potenza di Dio ma da un atto semplice di obbedienza e di amore del Figlio che si consegna a Dio Padre, perché la salvezza – come diceva il santo vescovo e martire Vigilio – viene da Colui che vince soccombendo.
Che cosa significa tutto questo per noi oggi?
Comporta per noi, intanto, una priorità: la necessità assoluta di riscoprire – attraverso l’annuncio rinnovato del kerygma – il valore dei sacramenti del battesimo (che ci introduce nella comunione della vita del Dio trinità) e dell’Eucaristia che è, appunto, il “corpo donato” e il sangue versato”, vero spazio ecclesiale che ci dona la grazia per vivere il battesimo nella gratuità di Dio. Come si intuisce nel passo paolino della seconda Lettera ai Corinzi da cui è ricavato il titolo della Lettera “L’amore di Cristo ci possiede”, essere realmente uditori del kerygma significa lasciarsi afferrare dall’amore di Cristo, credere che Egli è morto e risorto e vivere la realtà della Pasqua.
Ritornare al kerygma richiede di ripensare profondamente la vita pastorale della Chiesa veneziana? Su quali binari?
Con stile sinodale, ma a partire dall’unità della Chiesa diocesana, siamo chiamati a proseguire il cammino comune. Papa Francesco al n. 30 di Evangelii gaudium scrive: “Ogni Chiesa particolare, porzione della Chiesa Cattolica sotto la guida del suo Vescovo, è anch’essa chiamata alla conversione missionaria. Essa è il soggetto dell’evangelizzazione, in quanto manifestazione concreta dell’unica Chiesa in un luogo…”. Già il testo della Lettera nasce da dialoghi e momenti di confronto vissuti anche a livello personale e informale durante la Visita pastorale o in altre circostanze. Bisogna essere consapevoli del rischio di attuare prassi che vadano “oltre” Cristo; questo significa esporsi al serio rischio di non essere fedeli al Vangelo e di non mettersi realmente al servizio di ogni uomo. Talvolta prevale l’inclinazione o la consuetudine di ricondurre tutto o quasi a se stessi e alle proprie idee perdendo di vista il Signore, centro della comunità cristiana. E quando la comunità non si nutre più col nucleo fondante dell’annuncio cristiano – Cristo morto e risorto – si smarrisce la verità della Chiesa e tutto si riduce pastoralmente a distribuire incarichi, compiti e ruoli. Capita così che nella comunità ecclesiale ci si muova con relazioni funzionali e orizzontali, semplicemente umane, che portano ad un “fare” affannato e dal corto respiro.
Qualche indicazione o sentiero da percorrere?
Sarà opportuno, innanzitutto, riprendere in mano – per rifletterci sopra e insieme – le tentazioni degli operatori pastorali e i rischi dell’ideologia e del pragmatismo che bene evidenzia Papa Francesco nell’Evangelii gaudium.
Nella nuova Lettera pastorale scrive, pensando ai più giovani e alle famiglie: «Il patronato, il Grest, le gite, i giochi devono sempre lasciare nei ragazzi qualcosa di umano e cristiano. È necessario domandarsi se siamo capaci di elaborare, anche in tali contesti, una proposta antropologica cristiana sufficiente…». Come si potrebbero ripensare e rilanciare in tal senso realtà come il patronato, il Grest, i momenti ricreativi parrocchiali ecc.?
Credo, come tento di dire nella Lettera, che si possa partire da una domanda semplice, chiedendoci come comunità cristiana (e qui penso a tutti: genitori, sacerdoti, persone consacrate, catechisti, educatori ecc.) se abbiamo saputo trasmettere agli adolescenti, in modo convincente, che Gesù non è un intoppo da cui liberarsi o una delle tante proposte fatte nel breve spazio dell’adolescenza. Ancora dobbiamo chiederci se siamo riusciti a presentare loro la persona di Gesù in modo significativo oppure se, nonostante l’impegno, non siamo stati capaci di testimoniare in modo convincente (personale e concreto nella vita di tutti i giorni) che perdere Gesù è anche perdere la propria umanità. I nostri patronati e i Grest, perciò, devono in qualche modo rappresentare reali occasioni che aprono una possibile breccia per un nuovo o un rinnovato, vero, incontro con Gesù. Oppure chiediamoci se, per qualche inconfessato timore o complesso di inferiorità innanzi ad un certo clima mondano, ci fermiamo prima di pronunciare il suo nome…
Lo stesso discorso vale più in generale per la dimensione sociale e culturale della fede, quindi…
Possiamo offrire – e sottolineo con l’impegno solidale di tutti: genitori, sacerdoti, educatori – con dimensioni e riflessi anche sociali e pubblici una proposta culturale e spirituale orientata ai valori del Vangelo e, qui, le sfide dell’oggi certamente non mancano per una comunità che s’impegni ad essere segno evangelico nel quartiere, nella città, nel territorio. Nella Lettera, inoltre, chiedo a tutti i sacerdoti – ma in particolare ai più giovani, più facilmente a contatto con i ragazzi e le ragazze (siamo alla vigilia del Sinodo) – l’impegno e l’esercizio dell’accompagnamento spirituale degli adolescenti in vista di un discernimento cordiale ed amico ma anche autorevole ed esigente, sulla falsariga del Vangelo, circa la loro vita e le loro scelte, con particolare attenzione all’ambito affettivo.
Nella parte finale si parla della necessità di una Chiesa “agile” con l’invito «a ripensare anche il nostro rapporto con i beni ecclesiastici. È certo che la Chiesa, per l’azione pastorale, ha bisogno di strutture; deve però interrogarsi sul loro possesso e uso, considerando la mutata situazione odierna e aprendosi alla logica del Vangelo». A che cosa sta pensando in particolare?
Non è poi una novità assoluta. Mi pare che la provvidenziale circostanza della Visita pastorale attualmente in corso sia preziosa, fra l’altro, per operare anche una valutazione attenta sul corretto e responsabile uso dei beni e delle strutture. E ne potrà scaturire anche una spinta all’essenzialità e, quindi, ad una presenza più agile e funzionale. Qualcosa del genere era stato evidenziato anche nella Lettera precedente, “Incontro al Risorto”, quando si rifletteva sulla necessità di operare in vista di un’opportuna perequazione dei beni tra le comunità. Un prudente discernimento comunitario ci potrà indicare meglio e più esattamente cosa vada ripensato o rafforzato nella pastorale ordinaria e nelle scelte di priorità in tutte le zone del Patriarcato.
Che cosa si aspetta, soprattutto, dalla Giornata formativa diocesana del 30 settembre?
Che il Signore sia in mezzo a noi e che tutti – genitori, per primi e, poi, catechisti, educatori, presbiteri, diaconi, persone consacrate -, con rinnovata fiducia in Lui e con rinsaldata stima reciproca, possiamo credere di più nella forza mite e dirompente del Vangelo e nella Sua Parola detta oggi a Venezia, prima di tutto per le nostre persone fragili e bisognose di Dio e poi come seme donato agli altri con larghezza di verità e d’amore. Chiedo alla Santa Vergine, nostra Madre comune, di aiutarci a fare quello che Gesù ci dirà e tutto pongo sotto la sua protezione. (GV)