«Desideriamo essere una risorsa per la città». È con queste parole che un ristretto della Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore a Venezia ha dato inizio alla S. messa di Natale celebrata dal Patriarca Francesco Moraglia nella mattina di giovedì 19, alla presenza di una ventina di detenuti, del direttore del carcere Enrico Farina e dell’assessore Massimiliano De Martin in rappresentanza del sindaco.
È la prima messa di Natale che si tiene in carcere dopo la scomparsa di don Antonio Biancotto, che per tanti anni ne era stato cappellano, impegnandosi sempre nell’incoraggiare i detenuti a non mollare e a sentirsi ancora utili alla società. Una foto di don Antonio è stata posta in chiesa sotto la targa commemorativa e appena sopra al grande presepe realizzato per le festività. Don Antonio con affetto spronava sempre a dare il meglio di sé, nonostante la situazione difficile. Un incoraggiamento che è stato accolto da chi si trova a percorrere il cammino tra le sbarre: «Ci siamo anche noi e sentiamo di poter dare tanto alla città, siamo cercatori di opportunità. Qui ci sono commercialisti, muratori e persone esperte di cybersecurity che desiderano essere una risorsa per la comunità veneziana. Vi chiediamo cosa possiamo fare per essere d’aiuto» ha detto il detenuto a nome dei 270 presenti nella casa circondariale, che si vedono offrire sempre più opportunità lavorative.
«È bello che il carcere, questo nome così grave, appartenga sempre più alla città e sia una componente della nostra vita sociale» ha esordito nell’omelia il Patriarca Francesco, durante la messa che ha celebrato insieme al nuovo cappellano del carcere don Massimo Cadamuro.
«In genere si è in carcere perché si è fatto qualche errore, ma se andiamo al di là della legge, che deve avere la sua forza e obbiettività, dobbiamo anche chiederci perché una persona ha sbagliato e in che condizioni si è trovata in un momento di fragilità della vita. – e continua il Patriarca – Anche se questo esula nelle aule giudiziarie è un qualcosa che deve entrare nella coscienza collettiva. La città non cresce solo facendo gli affari o con i luoghi dell’alta cultura, ma è fatta anche di persone concrete e ha da imparare da tutti i suoi cittadini, anche da quelli che hanno sbagliato».
Poi parla del Natale e del senso del perdono: «Il Natale non è solo quella novità che irrompe nel mondo, ma dice che il bene può iniziare da te. – afferma, rivolgendosi ai carcerati – In ambito cristiano quella novità che a Gesù stava molto a cuore si chiama e si chiamerà sempre perdono. Finché l’uomo decide di rimanere umano, e non perseguire solo sogni di transumanesimo e post umanesimo, il perdono è il lievito della società che deve essere dato e ricevuto in un cammino di crescita e responsabilità. Voler essere bene per gli altri è quello che si cerca di fare in un luogo di cammino».
Infine si sofferma sulla società che evolve, anche se non sempre in modo positivo: «Non è detto che ogni evoluzione e ogni cambiamento siano più umani e mettano al centro di tutto la persona. A noi interessa chi è concreto e responsabile della comunità. Dobbiamo lavorare per una città più fraterna. Il trinomio uguaglianza, libertà e fraternità negli ultimi 200 anni non ha funzionato perché è mancata proprio la fraternità. Quest’ultima è l’elemento essenziale, la prima cosa che dobbiamo imparare e dobbiamo chiedere di trasmettere ai nostri giovani». Proprio al termine della S. messa un detenuto ha recitato una poesia sul senso della fraternità e della condivisione: «Se vogliamo che il mondo vada avanti dobbiamo tenerci per mano. – ha detto – la libertà non ci serve se non abbiamo il coraggio di guardarci in faccia e di stare insieme. Le cose grandi finiscono, sono quelle piccole che durano. La società deve tornare unita e non essere frammentata». Alla fine di tutto i detenuti hanno consegnato dei regali al Patriarca, tra questi una stella fatta a mano e delle realizzazioni create alla Cooperativa Rio terà dei Pensieri che dà lavoro ai carcerati. Infine, il ricordo del Patriarca volge ancora a don Biancotto: «Era l’anima del carcere. Chiediamo ora ci guidi dal cielo in tutto quello di cui abbiamo bisogno in questo luogo».
Francesca Catalano