Il Vangelo è una fonte perenne di vita nuova che supera le ideologie e le convinzioni personali come anche ogni tipo di rassegnazione. Sa andare oltre il pessimismo e il fatalismo degli uomini come oltre ogni facile ottimismo che, in modo erroneo, si affida ad una illusoria bontà naturale, confondendo la libertà con l’esternazione delle proprie fragilità o egoismi. E tutto ciò coinvolge ognuno di noi, a partire dal battesimo che ci immerge nel mistero pasquale, nella vita del Crocifisso risorto e ci rende capaci di continua e reale rigenerazione.
Citando l’enciclica Ecclesiam suam di Papa Paolo VI, il Patriarca Francesco ha sottolineato stamattina, nella festa dell’evangelista Marco, la centralità assoluta del testo evangelico, un genere letterario di cui il patrono di Venezia è l’iniziatore, essendo il primo ad essere stato scritto, poco prima del 70 dopo Cristo.
Quello di Marco, ha ricordato il Patriarca nell’omelia della Messa celebrata in Basilica, «è un testo di indiscutibile immediatezza, vivacità e drammaticità, composto di poche parole (è il Vangelo più breve), con dialoghi serrati e diretti, mentre emergono in maniera nitida e, appunto, “drammatica” i fatti accaduti. Se, insomma, vogliamo sapere come sono andati gli eventi di Gesù di Nazaret, è soprattutto al Vangelo di Marco che dobbiamo principalmente ricorrere, insieme a quello di Giovanni (scritto, peraltro, alla fine del I secolo); questi, seppur in modo differente e in un certo senso, sono i Vangeli dei “testimoni oculari”, delle persone più vicine a Gesù. Giovanni, perché (con Andrea) è cronologicamente il primo ad incontrare Gesù; Marco, perché raccoglie la predicazione, i ricordi e gli insegnamenti di Pietro, scelto da Gesù come la “roccia” su cui è fondata la Chiesa».
In una Cattedrale in cui si è potuto celebrare in presenza, sia pure con un numero ridotto di fedeli, mons. Moraglia ha rimarcato: «L’evangelista, e nostro patrono, dice a noi – uomini e donne del XXI secolo, in particolare di questo territorio veneziano e veneto – che Gesù non è un personaggio del passato né una figura mitica, ma è il Vivente, l’unico Signore; Marco ci ricorda che le promesse di Dio non vengono meno ma sono mantenute e si realizzano proprio nel Risorto (cfr. At 13,32-33); ci richiama, infine, al fatto che il Vangelo non è prima di tutto un libro che si legge, ma è lo stesso Gesù Cristo vivo che va testimoniato sempre e in ogni ambito. Senza timori e reticenze.
Tutto ciò comporta per la Chiesa conseguenze che la rendono “altra”, anche in modo radicale, rispetto all’ambiente umano in cui vive nelle differenti epoche e nelle quali, però, è capace d’immettere – per la forza che le deriva dal Vangelo – un’energia, una novità, una prospettiva di rinascita e salvezza che il mondo non possiede».