Risvegliare il senso di Dio, riscoprirsi creature fragili, adoperarsi per una città a misura d’uomo, specialmente per reagire alla pandemia da Covid-19: sono alcuni dei temi che verranno toccati dal Patriarca Francesco nell’omelia-riflessione che pronuncerà stasera, domenica 19 luglio, nel corso della Messa che presiederà nella basilica del SS. Redentore alla Giudecca, nell’occasione del solennità del Redentore. Ecco un estratto dell’omelia.
La terza domenica di luglio, a Venezia, si celebra la festa del Santissimo Redentore ricordando l’evento che, in modo drammatico, segnò la città e che oggi – in tempo di Covid 19 – riviviamo con particolare intensità. Questa festa è, infatti, legata al voto con cui il Senato della Repubblica decise di affidarsi alla misericordia di Dio per sconfiggere la pandemia del 1575-76 che, in città, seminò ovunque morte.
Quest’anno il nostro ricordo è particolarmente vivo, perché abbiamo fatto e stiamo tuttora facendo un’esperienza simile e così l’impotenza e la fragilità dei nostri avi si sono di nuovo manifestate, seppur in modi differenti. Oggi riscontriamo ancora come l’uomo debba sempre fare i conti con i suoi limiti, nonostante i progressi della scienza: l’uomo è creatura e rimane fragile. Anche nel tempo della tecnoscienza l’uomo non può sentirsi assolutamente garantito; la precarietà appartiene all’uomo e gli ricorda chi è, nonostante i sogni d’immortalità puntualmente smentiti dai fatti.
La pandemia ci ha segnati come singole persone e come comunità, ci ha toccato dentro e per chi non si è sottratto è stato possibile ripensare il proprio stile di vita. Il lockdown è stato vissuto in modi diversi; ha portato alcuni a riflettere criticamente sulla situazione, altri semplicemente a subirla.
La solennità del Redentore ricorda il mistero della salvezza che, per il cristiano, ha un solo nome: Gesù. Il Risorto è la risposta al grido che, in questi mesi, è riecheggiato in ospedali, residenze per anziani, reparti di terapia intensiva, luoghi di sofferenza ed anche fatica per malati, medici e infermieri, i cui volti stanchi e disfatti sono vivi nella nostra memoria.
La festa del Redentore – in quest’anno così particolare e faticoso – risvegli innanzitutto un vivo senso di Dio a partire proprio dalla percezione del limite e della fragilità umana e, quindi, una solidarietà che esprime la fede e, poi, diventa scelta sociale e politica attraverso la valorizzazione del principio di sussidiarietà che riconosce e promuove le aggregazioni dei cittadini.
Per l’uomo riconoscere il proprio limite e la propria fragilità non significa esser meno uomo, ma percorrere la strada che lo conduce alla gioia di “scoprirsi” creatura; accettare il proprio limite diventa cifra di una sana e matura umanità.
L’uomo è persona, ossia essere “in relazione” e la città è prodotto della persona. La nostra amata città appartiene ai veneziani ma – per la sua unicità – è patrimonio del mondo. Dopo l’ultima “acqua granda” dello scorso novembre e l’emergenza Covid 19, ancora in atto, è necessario mettere in campo idee capaci di proporre un nuovo modello di convivenza; è una sfida affascinante.
Papa Francesco, nell’enciclica Laudato si’, ci indica una strada: “Insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato. È parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile… Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale. Perciò l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio… È la cultura non solo intesa come i monumenti del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo, che non si può escludere nel momento in cui si ripensa la relazione dell’essere umano con l’ambiente” (n. 143).
E proprio Venezia può diventare un importante laboratorio che, dalla sua storia, trae spunto per progettare un futuro che risponda alle esigenze della sua natura fragile, del suo patrimonio artistico culturale e, insieme, la renda vivibile a misura d’uomo; una città nel quale natura, cultura, reddito e cittadinanza sappiano convivere a partire dal bene comune che non è l’aspettativa e i desiderata di qualche gruppo o lobby, ma è il bene di tutti e di ciascuno.
Soprattutto la Chiesa che è in Venezia si deve sentire interpellata ed essere capace di proporre una visione in cui l’uomo, aperto a Dio, sia posto sempre al centro. Vera laicità è riconoscere il posto di Dio anche nella società civile, sapendo andar oltre i desideri e le aspettative dei singoli.
Il Santissimo Redentore – che ci rivela la verità su Dio e sull’uomo – ci aiuti giorno dopo giorno ad imprimere sulla città terrena un volto più umano, ossia più corrispondente all’uomo, a partire dalle sue fragilità materiali e spirituali.