“L’amore per la libertà e una carità accogliente che nasce dalla fede” sono i valori fondamentali che Venezia, “città della Bellezza”, è chiamata a ravvivare in occasione della festa del Redentore, insieme alla necessità di riscoprire la relazione profonda e fondamentale con Dio che sta alla base di tutte le altre. Su queste basi la città ed anche l’intera società potranno affrontare con saggezza le questioni più problematiche dell’attualità. Sono i temi della riflessione che il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia offre quest’anno alla Chiesa e alla città lagunare nel corso della popolare e sentita festa del Redentore (nella foto di Riccardo Roiter un emblema spirituale e ambientale della festa veneziana). Ne anticipiamo qui alcuni passaggi che il Patriarca riprenderà più ampiamente nell’omelia della Messa solenne in programma domenica sera, alle ore 19.00, nella basilica del Redentore situata sull’isola veneziana della Giudecca.
“Da oltre quattro secoli i veneziani vengono in pellegrinaggio all’isola della Giudecca per ringraziare il Redentore e rinnovare la loro domanda di protezione. Con tale gesto di fede vogliamo impegnarci ad una convivenza sociale dignitosa per tutti e pervasa dai valori che, da sempre, appartengono a Venezia e alla sua storia: l’amore per la libertà e una carità accogliente che nasce dalla fede.
Venezia è la città dell’evangelista Marco e una comunità che ha una relazione profonda con Dio non può vivere un’etica personale e sociale minimalista. Il Redentore ci aiuti, nelle sfide dell’oggi, a compiere scelte sagge e – ad un tempo – sostenibili e generose, legali e accoglienti. E per quanto riguarda il rapporto oggi delicatissimo con gli immigrati, per il cristiano vale il principio: generosità e legalità, integrazione sostenibile, come ribadisce con forza Papa Francesco. Non sono accettabili i “sì” e i “no” a priori; è in gioco il nostro essere uomini, il rimanere umani, la necessità di sconfiggere l’indifferenza.
La nostra città deve, inoltre, trovare risposte a questioni essenziali per il suo futuro: il flusso eccessivo dei visitatori, in un territorio unico per bellezza ma anche per fragilità, e il calo strutturale dei residenti. Le questioni si richiamano a vicenda e vanno affrontate insieme con sano realismo e giusta idealità, senza scaricare sugli altri le proprie utopie e prendendo le distanze da visioni ideologiche. Riconoscere dei limiti anche alle possibili fonti “illimitate” di ricchezza è una scelta a cui una società è chiamata in vista del bene comune, anche in rapporto alle future generazioni.
Venezia è, da sempre, porta d’Oriente ed è, per antonomasia, la città della Bellezza in cui si esprime in modo unico l’alleanza fra Dio e uomo! Michelangelo, nella volta della Cappella Sistina, ha fermato l’attimo della creazione di Adamo; tale gesto divino è anche l’inizio dell’alleanza che, in modo mirabile, si rende presente nella nostra città dove il bello è frutto sia dell’opera di Dio sia del lavoro dell’uomo.
Il cielo, il mare, la laguna, le luci estive e invernali, le nebbie autunnali riverberano sensazioni inesprimibili nell’animo umano. Venezia è, insieme, opera di Dio e dell’uomo e la sua bellezza esercita un fascino indicibile. La nostra città è quel prezioso scrigno d’arte che si unisce al bello, opera del Creatore, ed è affidato alla nostra cura.
Venezia è la città dei ponti ed “essere ponte” è la sua vocazione. Il Bello (pittura, scultura, architettura, musica, poesia), il Bene (chiese, ospedali, mense, dormitori), il Vero (scuole, università, biblioteche, archivi) sono ponti gettati verso gli altri ma, soprattutto, verso l’Altro. E solo nell’incontro con Chi è il Bene, il Buono e il Vero l’uomo si ritrova, ritrovando prima di tutto Dio.
Dio va riscoperto e posto al centro della vita del singolo e della città perché Dio è garanzia di libertà per tutti e del rispetto tra le persone, senza discriminazioni, affinché nessuno si innalzi sopra gli altri. Oggi, osservando la città, percepiamo ancora in mezzo a noi la presenza di un Altro, di un Redentore in grado di appagare quella sete d’infinito – il più delle volte inconscia – che divora l’uomo postmoderno?
La società industriale ha ceduto il posto a quella dell’immagine e della comunicazione; tutto è più sfumato, articolato e pervasivo e perciò ha bisogno d’un supplemento d’umanità e, soprattutto, di Vangelo. Ma ogni incontro – degno di tale nome – avviene non attraverso un “contatto virtuale” in rete ma attraverso un “dialogo reale” tra persone disponibili a percorrere strade non facili, mai scontate o banali. Sì, bisogna riscoprire il valore del dialogo, della fraternità e dell’accoglienza. Soprattutto oggi. Ma questo presuppone di riscoprire il valore dell’incontro con la paternità di Dio, perché da qui fiorisce ogni altro rapporto”.