«“Cristo, mia speranza, è risorto!” è la buona notizia che può cambiare il nostro mondo che è sempre più vecchio, non solo anagraficamente; un mondo segnato da crescenti conflittualità e che – come ha detto il Santo Padre – rischia, senza accorgersene, di trovarsi dentro una guerra che si combatte a pezzi».
È l’invito di fondo che il Patriarca Francesco fa nell’omelia della Messa di Pasqua, celebrata nella basilica di San Marco. Pasqua come chiave della salvezza tramite il dono di sé e il perdono.
«Noi, proprio oggi, giorno di Pasqua – prosegue il Patriarca – vogliamo chiederci: dove inizia questa guerra che, continuamente, ritorna a divorare l’umanità? Fintanto che ci limiteremo a puntare il dito contro gli altri o a incolpare le istituzioni – dimenticando che sono gli uomini a costituirle – non potremo che limitarci a constatare la nostra impotenza nei confronti del male. È il peccato che ci pone contro Dio ma, non meno, contro noi stessi e gli altri, perché è il peccato la radice di ogni divisione; anzi, è la stessa divisione e consiste nel tracciare un percorso fuori del progetto di Dio.
Abbiamo, così, un’umanità impotente che – sempre e di nuovo – è incapace di sollevarsi e ricomporsi nella giustizia, presupposto e condizione della pace».
Andare oltre l’io che punta il dito contro gli altri: ecco cosa fare. Ma per capirlo bisogna guardare a Lui: «Dio in Gesù, suo figlio, ci indica la via maestra che conduce alla pace. Invece, spesso, gli accordi di pace fra gli uomini sono premessa di una nuova conflittualità ancora più sanguinosa della precedente; la seconda guerra mondiale – non dimentichiamolo – fu anche l’esito di una pace costruita sulle logiche dell’uomo vecchio, ossia la rivalsa, l’umiliazione dell’avversario e la vendetta».
Pasqua, evento centrale, dà un ammaestramento chiaro. Perfino semplice nel suo essere rivoluzionario, sottolinea mons. Moraglia: «L’intento è semplice: vivere l’imitatio Christi, vivere la croce che è la forma piena dell’amore che si apre a tutti, nessuno esclude e tutti accoglie sull’esempio di Gesù. La croce è il perdono di Dio agli uomini, un perdono dato anche a coloro che sembrano rifiutarlo; così la Pasqua inaugura e immette nuove possibilità nella storia e si propone come germe di novità, di riconciliazione e apertura di credito per un’umanità che vuole – ma da sola non può – uscire dalla logica vecchia, ripetitiva e inconcludente del peccato».
Pasqua è l’evento della Risurrezione: in essa si concentra, senza tentennamenti e lungo il corso della storia, il cuore della fede cristiana: «La fede nella risurrezione non è stata mai l’idea peregrina di qualche discepolo o l’opinione di qualche apostolo; al contrario, dalla vita e dalle testimonianze dalle primitive comunità cristiane, ricaviamo che la fede pasquale fu il distintivo della Chiesa dal suo inizio: i cristiani sono coloro che confessano Gesù crocifisso e risorto. Fin dall’inizio non si è dato un altro cristianesimo».
E la riflessione del Patriarca sul brano del Vangelo di Marco proposto dalla liturgia pasquale si conclude con una ampia considerazione del ruolo avuto dalle donne rispetto all’evento della Risurrezione. E di ciò che si riflette sul ruolo della donna nella comunità dei credenti, anche oggi: «In un tempo, come il nostro, in cui le donne sono oggetto di brutale e sistematica violenza, desidero sottolineare il modo con cui esse hanno saputo accompagnare e stare vicine a Gesù, più e meglio degli uomini, soprattutto nel momento in cui anche gli amici più intimi – discepoli e apostoli – lo abbandonarono. Gli apostoli scelsero la strada facile della debolezza: la fuga. Le donne no, rimasero fedeli fino alla fine e così le troviamo ai piedi della croce con la Vergine Madre. Loro, le donne, non gli uomini, furono coraggiose nel rimanergli al fianco, non lo lasciarono lungo il cammino arduo della passione e, numerose, lo seguirono fino alla croce. Non stupisce, allora, che Gesù le volle prime testimoni della Pasqua, “apostole” degli apostoli».
«La vicenda più intima di Cristo – la sua morte e risurrezione – mette in evidenza senza forzatura – conclude il Patriarca – la grandezza della donna. La nostra società, la nostra cultura e anche la Chiesa devono lasciarsi plasmare dal genio femminile per scoprirsi più ricche di vera umanità e del senso di Dio».