Che si fermino al più presto i massacri in corso nella terra ucraina. Ma al contempo si rifletta in profondità sulle ragioni che alimentano la pace fra i popoli e sulle cause di ciò che divide e che porta allo scontro e allea guerra. Ricordando innanzitutto che «la preghiera è la grande arma a cui aggrapparci per invocare dal Signore di intervenire là dove gli uomini fanno danni».
Lo sottolinea il Patriarca nell’omelia della Messa celebrata stamattina, venerdì 25 marzo, in San Marco, nella solennità dell’Annunciazione del Signore e nei 1600 anni dal tradizionale “dies natalis” della città di Venezia, nonché in unione spirituale con il Papa per l’atto di consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria.
La solennità liturgica dell’Annunciazione – afferma mons. Moraglia – «non avendo risonanza civile come ad esempio il Natale, non è percepita nel suo valore e nella sua importanza ma è evidente che non avremmo il Natale e non avremmo la Pasqua se non ci fosse l’Annunciazione, giorno situato nel calendario a nove mesi esatti dalla data del Natale, anch’esso individuato con un intreccio tra teologia e storia, dove teologia non vuol dire fantasia ma un sapere aperto a ciò che supera la ragione».
E un “superamento” è anche intrinseco all’Annunciazione stessa, dato che «Dio ha voluto aver bisogno del “sì” di Maria per procedere e dare compimento alla sua opera di salvezza per l’umanità. La grandezza della solennità dell’Annunciazione è tutta racchiusa qui».
Per Maria Annunciata passa la salvezza: «Anche noi, oggi, da Venezia – prosegue il Patriarca Francesco – ci rivolgiamo con fiducia alla Madonna Nicopeia – che è “vincitrice” – e affidiamo a Lei i dolori, le sofferenze, le ansie delle persone e dei popoli, i tanti morti di queste settimane di guerra e sempre a Lei consegniamo la nostra preghiera e il desiderio di una pace che, forse, sappiamo di non meritare».
Una pace che non meritiamo e che rischiamo di mettere a repentaglio ogni volta che non consideriamo con rispetto l’altro, sia che si tratti di persona, di cultura, di Stato. Bisogna evitare di ripetere con modalità nuove, rileva mons. Moraglia, gli stessi errori che, nel Novecento, hanno determinato due guerre mondiali e più di 70 milioni di morti. «Si è pensato a ripartire esclusivamente da una logica umana – in prospettiva di un’influenza geopolitica, economica e (sia pure in misura minore) militare, privilegiando la scienza e la tecnica – e non si è dato spazio sufficiente per valorizzare la ricchezza della storia, della spiritualità e della cultura dei popoli che vi fanno parte e che rendono l’Europa unita, dall’Atlantico agli Urali per usare una nota ed efficace immagine, in una “vocazione di fraternità e solidarietà”, come diceva San Giovanni Paolo II».
Era lo stesso Pontefice polacco – ricorda il Patriarca – che, a proposito dell’allargamento dell’Unione Europea che stava avvenendo negli anni del suo pontificato, a seguito della caduta del muro di Berlino, osservava: “È da auspicarsi che tale espansione avvenga in modo rispettoso di tutti, valorizzando le peculiarità storiche e culturali, le identità nazionali e la ricchezza degli apporti che potranno venire dai nuovi membri, oltre che nel dare più matura attuazione ai principi di sussidiarietà e di solidarietà – parole oggi veramente profetiche – …l’unione non avrà consistenza se fosse ridotta alle sole dimensioni geografiche ed economiche, ma deve innanzitutto consistere in una concordia dei valori da esprimersi nel diritto e nella vita”.
Un monito, insomma, a considerare che l’armonia delle differenze è un valore più alto e fraterno dell’egemonia di alcuni valori.
«Cari fratelli e care sorelle – così il Patriarca conclude la sua omelia – da Venezia, città dell’incontro, dell’ascolto, dei cammini condivisi, città dei legami tra Oriente e Occidente, si levi allora – nel giorno ormai del suo compleanno n. 1601 – un grido e una preghiera di pace, in sintonia con i numerosi e accorati appelli di Papa Francesco che – anche in questi ultimi giorni – ha parlato della guerra come “una crudeltà disumana e sacrilega”, come “una sconfitta per l’umanità” perché, come avevano detto anche i suoi predecessori, “con la guerra tutto si perde, non c’è vittoria in una guerra, tutto è sconfitto”. Invochiamo che si fermino al più presto i massacri in corso nella terra ucraina. Dio converta i cuori e purifichi le volontà in vista della pace. Anche la nostra città – fedele ai richiami delle sue origini – si rinnovi e cresca sempre più in umanità, in fede, in concordia e in pace».