«Benedetto XVI, una figura luminosa nella sua mitezza, umiltà e forza». Così il Patriarca Francesco ha fatto sintesi della figura del Papa emerito, riflettendo su di lui nell’omelia della Messa celebrata in suffragio nella basilica di San Marco, nel pomeriggio di martedì 3 gennaio.
Ma quali sono stati gli elementi che hanno caratterizzato la vita e il ministero di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI? Il Patriarca Francesco li individua così: «Il primo elemento che emerge è questo: ha saputo tenere insieme nel magistero, nell’azione pastorale e negli studi teologici ciò che appartiene all’essenza della fede e alla vita cristiana. Ha, insomma, sempre valorizzato due virtù che è difficili far coabitare nella stessa persona e che pochi incarnano: la mitezza, che può cadere nella fragilità, e la fortezza, che, invece, può tramutarsi in imperio. In lui, invece, mitezza e forza si sono unite, quasi fuse, attraverso l’intelligenza e l’autorevolezza della sua persona. È stato, quindi, fedele all’invito della prima lettera di san Pietro, ossia esser “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1Pt 3,15-16)».
Il rendere ragione della speranza del Vangelo è anche il frutto dell’equilibrato rapporto fra fede e ragione che Joseph Ratzinger ha saputo coltivare e valorizzare per tutta la vita: «Benedetto XVI ha saputo esprimere una fede “intelligente”, capace di condurre a pienezza la nuova umanità che nasce e fiorisce nel sacramento del battesimo, ovvero la vita in Cristo risorto che attraversa tutte le dimensioni dell’umano riconoscendo e potenziando logos, nomos, pathos ed ethos, ossia ragione, legge, affetti, etica, mai disattendendo il retto rapporto tra giustizia e carità così ben delineato nella parte dell’enciclica “Deus caritas est” dedicata alla dottrina sociale. Legittimamente, e con fondate basi, illustri esponenti della Chiesa (e non solo) ne hanno parlato come di un autentico e autorevole “dottore della Chiesa”, riconoscendo il grande valore dell’apporto culturale e teologico che Joseph Ratzinger ha saputo fornire sin da giovanissimo teologo».
La complementarità fra ragione e fede si esprime anche nella capacità di declinare nell’esistenza concreta l’Annuncio di Cristo: «La sua riflessione si è caratterizzata come un “applicarsi” alla modernità senza mai “adattarsi” ad essa, valorizzando sempre il binomio fede-ragione; una fede amica della ragione e una ragione aperta alla fede, che si “purificano” a vicenda, così da operare concordemente nel rispetto delle proprie specificità».
Tanto da poter dire che «Ratzinger pensava e viveva la fede cristiana come una realtà che, nello stesso tempo, era “esistenziale” e “teologale”, che mai separava l’anima dal corpo e l’intelligenza dalla prassi e che era, per quanto possibile, l’adeguata risposta alla logica del Dio logos e agape. Sì, del Dio conosciuto come ragione e amore. Il contributo al dialogo con la modernità in un’epoca, come la nostra, segnata dal “pensiero debole” è stato fondamentale e, soprattutto, senza reticenze, timori, complessi d’inferiorità e portato avanti con determinazione e coraggio, sapendo anche – quando era il caso – prendere chiaramente le distanze dalla dittatura del relativismo e del politicamente corretto».
«E, ancora – aggiunge il Patriarca rivolgendosi ai tanti presenti alla liturgia in Basilica – Benedetto ha saputo agire con quella libertà che dovrebbe essere di ogni cristiano e alludo al gesto con cui ha concluso il suo pontificato: la rinuncia al mandato petrino e la scelta di ritirarsi, come un semplice monaco, nel cuore della Chiesa a pregare per la Chiesa».