«Con l’aiuto di Dio, nei prossimi mesi dovremo non solo cercare equilibri nuovi, ma trovare una nuova saggezza nell’organizzare la filiera che conduce al bene comune di un territorio, di uno Stato, di una comunità di Stati, del mondo intero. Anche in questo ci aiuti la luce di Pasqua che guarda all’uomo, prima, nel suo bisogno di solidarietà e inclusione, poi di consumo e anche di performance».
È il messaggio e l’invito che il Patriarca Francesco rivolge a tutti durante l’omelia della Messa di Pasqua, celebrata nella basilica di San Marco a Venezia.
Una meditazione sull’evento centrale della fede cristiana, la Risurrezione, che è vitoria della vita e nella vita trova il suo pieno compimento: «È nel cantiere della storia – afferma il Patriarca – che si costruisce la vera speranza cristiana, ossia, la certezza che Cristo ha vinto, insieme al peccato, ogni atteggiamento disumano; a noi, suoi discepoli, dirlo nella fede facendoci portatori di una nuova visione dell’uomo che guarda proprio all’umanità di Cristo che è il progetto di Dio per una storia riconcilia a e riconciliante».
Quella di mons. Moraglia è una riflessione che declina la grande notizia del Cristo risorto nella vicenda che l’umanità sta vivendo in questi giorni: «In questa Santa Messa di una Pasqua veramente anomala, inusuale, portiamo all’altare i tanti dolori di questi mesi, i tanti morti, ricordiamo i loro cari, una preghiera particolarissima per loro, poi, per i troppi medici e operatori sanitari che hanno pagato con la vita il loro generoso servizio ai contagiati di Covid 19».
Ed è proprio questa contingenza drammatica ad aprire all’analisi nell’ottica della fede cristiana: «Questi giorni di pandemia – dice il Patriarca Francesco – hanno scardinato molte nostre certezze, per cui, anche chi non era incline a riflettere e ad interrogarsi è invitato a farlo; pensavamo d’essere protetti dalle tutele assicurative, sanitarie, pensionistiche e, invece, ci siamo riscoperti fragili, oltremodo, vulnerabili; sì, i fatti ci hanno riportati alla dura realtà».
Così, costringendoci a fermarci, Covid-19 ci ha obbligati a riflettere: «La nostra società così frenetica ha bisogno di tornare a riflettere uscendo dal pensare politicamente corretto, uscendo da schemi preconfezionati, da parole che risuonano retoriche. La nostra, epoca, erroneamente, pensava di aver archiviato le ideologie; invece, è portatrice di un’ideologia più sottile e insidiosa, quella del riduzionismo, ossia, non saper o non voler cogliere il tutto, fermarsi ad un aspetto, isolare una parte considerandola come il tutto. Alcuni esempi, la generazione ridotta a mera riproduzione; l’educazione a pura istruzione; la politica a governabilità dimenticando la rappresentatività e così via».
Da ciò l’invito di mons. Moraglia: «Dobbiamo andare oltre il pensiero strumentale, ossia, efficientista, quello che si pone solo alcune domande, ad esempio, quelle del “come” o “in che modo” si fa una cosa e non sul “perché” la si fa o “se” è bene farla. La crisi dell’Occidente, prima di tutto, è culturale, sono venute meno le domande sul “senso” della vita e che fondano l’etica; sì, prima di chiedersi “come” fare una cosa bisogna chiedersi “perché” la si fa o se è bene farla».
Interrogarsi sulle ragione per cui si fa ciò che si fa, tornare alle domande vere della vita per orientare le scelte, questa è la grande occasione. Con una stella polare in più e una certezza profonda in più, per chi crede: «La Pasqua – continua il Patriarca – conduce così l’uomo oltre i suoi pensieri, i suoi desideri e gli spalanca orizzonti nuovi. Il punto è il modo in cui si guarda il sepolcro; il sì’, della fede, infatti, è l’esito di un dialogo, di un interrogare se stessi, partendo dalle domande sul “senso” della vita, dell’uomo, di Dio».