Non potevano che essere affidati alla Basilica di San Marco, custode silenziosa delle sue splendide tessere di mosaico dorate e luogo simbolo della città d’acqua, i festeggiamenti per i 1600 anni dalla fondazione di Venezia. Una giornata celebrativa, nel rispetto delle norme vigenti, partita illuminandone alcune parti che hanno tenuto il pubblico con il naso all’insù. Un vero e proprio privilegio, verrebbe da dire, se considerato che attualmente la Basilica non è visitabile a causa dell’emergenza sanitaria.
E un’occasione preziosa per approfondire il tema dell’Annunciazione – nella data in cui ne ricorre la celebrazione – attraverso l’illustrazione di alcune immagini presenti proprio all’interno della chiesa. Come quella della cupola dell’Emmanuele, posizionata nell’arco del presbiterio, che celebra l’incarnazione del Cristo, frutto del mistero dell’Annunciazione. La cui spiegazione è stata affidata a don Gianmatteo Caputo, delegato patriarcale per i Beni culturali ed Edilizia di culto, che ha sottolineato come le origini della città, fissata simbolicamente proprio il 25 marzo, non faccia altro che rimarcare come lungo tutta la tradizione veneziana ci sia un riferimento alla figura di Maria. Facendo dunque della Vergine la prima patrona in senso lato della città, al di là di quelle che saranno poi le figure dei santi Todaro e Marco.
«Stiamo vivendo anni difficili. Per trovare qualcosa di simile dobbiamo ritornare agli anni successivi alla seconda guerra mondiale – le parole del Patriarca Francesco che ha desiderato rivolgere un saluto particolare al Metropolita dell’Arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta, Policarpo, e al vicario per Venezia di Papa Tawadros II della chiesa copta, Anba Giovanni – Viviamo un tempo in cui abbiamo bisogno di vera speranza. Abbiamo necessità della speranza umana e cristiana come dell’aria per respirare. E in questo periodo abbiamo visto come respirare non sia una cosa scontata per tutti».
Una fase complicata, quella che il Paese (e il mondo intero) sta attraversando, che tuttavia mons. Moraglia ha invitato a vivere come un’opportunità «che ci è offerta per ricominciare, affinché la città possa ripartire e ricostruirsi come comunità civile. Iniziando dai suoi valori, declinati al ritmo del nostro tempo».
Non è mancato poi l’invito a tener viva la consapevolezza dell’unicità di Venezia, «che deve tornare ad essere “viva”, abitata nel quotidiano da famiglie, bambini e giovani. Accogliente, ordinata, a misura d’uomo. Per questo va costruita un’alleanza fra le generazioni: la nostra e le future». Parole a cui si è aggiunta un’ulteriore raccomandazione: quella di far rete, chiamando in causa la responsabilità della politica senza però scaricare su di essa colpe non sue.
Se da un lato è vero – come sottolineato dal Patriarca – che la città lagunare ha voluto legare i suoi inizi alla madre di Gesù («nel tondo del pavimento al centro della Basilica vi è un’iscrizione che richiama tutto questo: “unde origo inde salus”»), dall’altro la preghiera conclusiva è stata affidata alla Madonna Nicopeia, «dal cuore immacolato», sinonimo di rifugio e speranza per tutti. Soprattutto in un momento di fragilità come quello presente.
Marta Gasparon