«Gesù non lo possiamo osservare da lontano, come pretendeva Zaccheo che voleva vedere Gesù che passava senza esser visto. Gesù lo vediamo quando rispondiamo al suo sguardo d’amore, quando lo guardiamo da vicino lasciandoci coinvolgere con tutta la nostra persona; vedere Gesù così come Gesù è e non come noi lo immaginiamo o vorremmo che fosse. Quante volte questo accade e quante volte sentiamo e vediamo fuorvianti devianze…».
Lo rileva il Patriarca nell’omelia pronunciata nella mattinata di mercoledì 25 in San Marco, nella Messa che mons. Moraglia ha presieduto nel giorno dedicato a San Marco, patrono di Venezia.
Presenti il sindaco Brugnaro e il prefetto Boffi, oltre ad una vasta rappresentanza di istituzioni e associazioni, in San Marco si è ripetuto anche il dono che, nella festa identitaria dei veneziani, viene fatto all’offertorio, da parte di più cittadini, tra cui i gondolieri che hanno portato all’altare il “bocolo”.
Con il Patriarca Moraglia ha concelebrato la Messa anche il Vescovo emerito della diocesi australiana di Lismore mons. Geoffrey Hylton Jarrett, in questi giorni a Venezia.
Al momento dell’offertorio, dopo i doni eucaristici del pane e del vino sono stati portati al Patriarca, oltre ai “bocoli” anche alcuni frutti della terra e della laguna (nonché del lavoro dell’uomo): il pesce giunto da Burano, i prodotti agricoli biologici arrivati dall’isola di Sant’Erasmo, il pane offerto dai panificatori veneziani, i doni della Confraternita della vite e del vino.
La riflessione del Patriarca si è incentrata sul Vangelo di Marco: «Marco propone il cammino del discepolato; si diventa discepoli entrando nell’interiorità, andando oltre una comprensione dell’evento cristiano che sia solo esteriore – ossia umana, psicologica e sociopolitica – per giungere alla conoscenza interiore di Gesù attraverso un reale ascolto della Parola, entrando nella storia della salvezza, lasciandoci condurre dalla Parola e non conducendola noi. Il cammino che propone Marco è – secondo il linguaggio biblico – un esodo del cuore, un esodo interiore ma non per questo meno reale».
È quindi entrando in rapporto personale con Gesù, l’unico Maestro – prosegue il Patriarca Francesco – «che il progetto di Dio su di noi si chiarisce e, più ci inoltriamo nel Suo progetto crescendo nella fede dei poveri di Israele, la fede di Abramo e soprattutto di Maria di Nazareth, più comprendiamo ciò che prima non aveva senso e rimaneva oscuro e incomprensibile e che ora, seppur non in modo scontato e automatico, si apre alla fede e, fra tenebre e bagliori, ci fa cogliere in modo nuovo quanto prima risultava enigmatico o assurdo e ora, invece, entra a far parte del mistero, ossia del dono di Dio».
Mons. Moraglia ha anche sottolineato il valore simbolico, cioè di rinvio ad altro – o all’Altro – insito nell’edificio di culto: «L’edificio-chiesa non è solo uno spazio funzionale per accogliere la comunità ma luogo sacro che entra in rapporto con l’assemblea che celebra la liturgia. Il rischio è cadere in un funzionalismo non più in grado di intendere il linguaggio simbolico e, prima ancora, la dimensione simbolica della realtà; alla fine, è l’incapacità dell’uomo a porsi le domande più vere e profonde che lo riguardano. Percepire ciò che ci circonda, nel suo significato simbolico, è importantissimo a livello religioso per la comunità cristiana ma lo è già sul piano umano, per la comunità civile; il simbolo, infatti, rimanda a qualcosa che va oltre la materialità, l’efficienza, la produzione, il guadagno e dice la capacità dell’uomo di andare verso una realtà ulteriore e anche verso un “Oltre” che, alla fine, dice chi è l’uomo e la sua capacità di trascendersi».
Infine, per rimarcare un altro segno tipicamente veneziano, ma anche legato all’evangelista il cui corpo è custodito nella Basilica veneziana, il Patriarca ha posto in evidenza che «il mottetto, che fra poco ascolteremo all’offertorio, inizia con le parole: “Quasi leo fortissimus nullum pavens occursum, idola subvertitet gloriam Domini gentibus annuntiavit. Alleluja!“. Che significa: “Fortissimo come un leone senza temere alcuna avversità, rovescia gli idoli e annuncia a tutte le genti la gloria del Signore. Alleluja!”. Il leone diventa l’immagine di una fede che non teme di affrontare gli idoli, iniziando da quelli del proprio cuore, e che annuncia la gloria e il Signore!».