Si è aperto ufficialmente il Giubileo del 2025 a Venezia.
Oggi, domenica della Santa Famiglia nell’Ottava del Natale, il Patriarca Francesco Moraglia ha presieduto la solenne celebrazione di apertura del Giubileo Ordinario del 2025 nella Diocesi di Venezia secondo le indicazioni date dal Santo Padre Francesco nella Bolla di Indizione. Il rito, composto dal una processione iniziata dalla chiesa di San Zaccaria a Venezia e conclusasi nella basilica cattedrale di San Marco Evangelista, ha visto partecipi i fedeli, i presbiteri, i diaconi, le religiose e i religiosi della Diocesi. Dinanzi al portale della basilica di San Marco è avvenuto il rito dell’ostensione della Croce, la memoria del Battesimo e l’aspersione con l’acqua lustrale.
Il Patriarca, nella sua omelia, ha compiuto un parallelismo tra il grande pellegrinaggio giubilare e l’esperienza della Santa Famiglia di Nazareth: «Siamo pellegrini di speranza, come anche lo fu la Santa Famiglia secondo l’odierno Vangelo (Lc 2,41-52) in cui ci viene detto che “ogni anno” Giuseppe e Maria, i genitori di Gesù, si recavano a Gerusalemme per la festa di Pasqua e così adempivano quanto richiesto dalla Torà che prescrive, appunto, di recarsi in pellegrinaggio al Tempio in occasione delle tre grandi feste (quella di Pasqua, delle Settimane e delle Capanne). Questo ci introduce bene al senso autentico del pellegrinaggio: l’invito a recarsi più volte nell’anno al Tempio, infatti, era per il popolo d’Israele il forte richiamo a non fermarsi e, in tal modo, a rimanere un “popolo in cammino”, sempre in cammino verso Dio, verso una maggiore conoscenza di Lui ed una maggior consapevolezza della propria identità di popolo di Dio. La famiglia di Gesù e Gesù vivevano una religiosità, ad un tempo, autentica e intensa, personale e comunitaria, fatta di obbedienza e fedeltà quotidiana. La risposta che Gesù, dodicenne al tempio, rivolge alla Madre angosciata non va intesa come una presa di distanza da Maria e Giuseppe; piuttosto è – e ciò vale anche per noi, con le dovute distinzioni – espressione della reale novità e libertà del rapporto che unisce l’uomo a Dio e che Lui, il bambino nato a Betlemme, ha inaugurato e svelato».
La solennità odierna della Santa Famiglia è stata in perno della Liturgia della Parola così come dell’omelia del Patriarca Francesco: «“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). O meglio: il Figlio deve ritrovarsi e quindi “stare” e ”abitare” nelle cose del Padre; il suo posto è là dov’è la casa del Padre e nello stare presso di Lui, perché è a Lui che il Figlio appartiene totalmente. Gesù è sempre presso il Padre e, in tal modo, vuole ricondurre anche noi là, dove è Lui. Pensiamo anche alle parole brucianti che rivolge a quell’uomo che lo incontra per strada e lo chiama “Maestro buono” e a cui Gesù risponde: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Mc 10,18), intendendo così richiamare quell’uomo all’unicità del Padre. L’Anno Santo che oggi apriamo sia anche per noi l’anno della libertà dei figli di Dio. E come avvenne per Giuseppe e Maria, condotti da Gesù lungo un percorso non facile e non immediatamente concepibile (“essi non compresero ciò che aveva detto loro”, annota ancora il Vangelo – Lc 2,50), anche noi siamo sollecitati a compiere un cammino di crescita e di maturazione della nostra fede e della nostra speranza».
Il Patriarca ricordava che il Giubileo è tempo di conversione e di rinnovamento spiritiale: «L’Anno Santo è, così, opportunità di grazia che ci è offerta per compiere un itinerario spirituale di conversione e – come ci indicherebbe san Giovanni della Croce – di una progressiva purificazione per abbandonare ogni forma di attaccamento o affezione contrari alla volontà di bene che viene a noi da Dio e per far sì che sia Lui il centro e il fine della nostra vita. C’è tanto da purificare in noi, in molti e diversi ambiti: la purificazione dell’intelligenza, della volontà, della memoria, dello sguardo, della parola e delle varie forme di linguaggio, arrivando anche a riscoprire il valore del silenzio».
Cosa vuol dire essere santi: «La santità, insomma, non si identifica con la perfezione di chi mai ha sbagliato. Sì, è proprio così: “i santi non sono «caduti dal cielo». Sono uomini come noi, con problemi anche complicati. La santità non consiste nel non aver mai sbagliato, peccato. La santità cresce nella capacità di conversione, di pentimento, di disponibilità a ricominciare, e soprattutto nella capacità di riconciliazione e di perdono” (Benedetto XVI, Udienza generale del 31 gennaio 2007)».
«Sì, davvero “Spes non confundit” – concludeva il Patriarca ‐ “la speranza non delude” (Rm 5,5). E, allora, come augura a tutti Papa Francesco, “possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza”, quella speranza che “nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce”, quella speranza che si riverbera “nella nostra vita di fede, che inizia con il Battesimo, si sviluppa nella docilità alla grazia di Dio ed è perciò animata dalla speranza, sempre rinnovata e resa incrollabile dall’azione dello Spirito Santo. È infatti lo Spirito Santo, con la sua perenne presenza nel cammino della Chiesa, a irradiare nei credenti la luce della speranza: Egli la tiene accesa come una fiaccola che mai si spegne, per dare sostegno e vigore alla nostra vita” (Papa Francesco, Bolla di indizione dell’Anno giubilare “Spes non confundit”, nn. 1,3)».
Condividiamo il link al testo integrale dell’omelia del Patriarca sul sito diocesano:
https://www.patriarcatovenezia.it/siamo-pellegrini-di-speranza-come-la-santa-famiglia/
Marco Zane