«Il riscatto inizia quando troviamo qualcuno che ha fiducia in noi». Nel cuore della sua omelia, durante la messa celebrata al carcere femminile di Venezia, il Patriarca Francesco lo scorso sabato 5 gennaio, ha voluto invitare le detenute a guardare in alto, a cercare i segni che il Signore dona per vivere il tempo della permanenza in penitenziario come un’occasione di cambiamento.
Questo il nocciolo del suo intervento, che si incastona nella celebrazione vigilare della messa dell’Epifania. Una tradizione, ormai, nel nostro Patriarcato, della visita del Vescovo presso i due carceri, maschile e femminile, per le celebrazioni natalizie.
«Questo è luogo di sofferenza e dobbiamo intenderlo come luogo di riscatto», ha esordito mons. Moraglia al principio dell’omelia, ricordando anche che «quelle mura che vi separano dalla città dicono un fallimento di tutti, per quanto non si possa togliere la responsabilità personale: quel muraglione dice che nella nostra società qualcosa non ha funzionato».
Nel proseguire questa riflessione incentrata sulla redenzione il Patriarca ha ricordato quanto i legami famigliari possono aver inciso profondamente nell’esistenza di una persona, raccontando l’episodio riferitogli anni addietro da un carcerato, ossia le violenze subite dal padre.
Il tempo della detenzione può diventare, perciò, nel pensiero del Patriarca, una possibilità per vivere una guarigione, un cambiamento. In quest’ottica ha presentato la figura del patriarca biblico Giacobbe: prima di diventare la guida e il padre del popolo di Israele, Giacobbe rubò la primogenitura a suo fratello Esaù e per questo venne chiamato “usurpatore”. Ma si lasciò plasmare dall’azione del Signore, dapprima accettando l’esilio per vent’anni in terra straniera, incontrando chi gli fece pagare la sua usurpazione: il suocero lo obbligò a lavorare per lui il doppio del dovuto. Tempi lunghi per vivere una conversione.
«Il tempo non ci chiede di avere solo pazienza: il tempo ci cambia», ha ricordato il Patriarca. Il tempo è il luogo in cui riconoscere l’azione di Dio nella libertà: come hanno fatto i magi che «hanno scorto una luce, che i giudei, gli scribi ed Erode non avevano scorto: questa luce il Signore la accende ogni giorno nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. Così i magi sono tornati alle loro città diversi. Trovare questa luce e ripartire, ricostruirsi e fare come San Paolo: sono forte quando sono debole, perché qualcuno entra nella mia vita».
Dopo la celebrazione della messa, animata da un gruppo di giovani volontari seguiti dalle suore di Maria Bambina, che ordinariamente si prendono amorevole cura delle carcerate, il Patriarca si è soffermato per un momento conviviale. Intervallata da canti natalizi tradizionali, è stata infatti proposta una condivisione delle esperienze di fede delle detenute, che si è conclusa con un piccolo rinfresco.
Le detenute del carcere femminile hanno donato al Patriarca alcune verdure del loro orto, un paio di pantofole confezionate nel loro laboratorio di sartoria e due maschere di carnevale, anch’esse frutto delle loro attività lavorative.
Marco Zane