«Dobbiamo esser più convinti che nessuna guerra ha mai risolto i problemi degli uomini e dei popoli. Tutt’al più ha estenuato una delle due parti in conflitto; la pax romana non è la pace cristiana».
Lo ha sottolineato con forza il Patriarca Francesco, nell’omelia della Messa di Pasqua, celebrata domenica mattina nella basilica di San Marco.
Mons. Moraglia ha riflettuto su che cosa l’evento centrale della salvezza cristiana, la risurrezione di Cristo, ha da dire ai fatti dei nostri giorni, anche a quelli tragici: «In questi giorni, in cui soffiano venti di guerra, tutti siamo rimasti toccati per gli atti terroristici che hanno seminato morte e che i media ci hanno proposto in tragica sequenza. È il momento in cui siamo chiamati a vincere stati d’animo differenti: paura, tentazione di fuggire, desiderio di vendetta».
La paura non è amica dell’uomo e non ha a che fare con lo stile dei seguaci di Gesù: «Eppure – ha proseguito il Patriarca – negli stessi giorni degli atti terroristici, i ramoscelli d’ulivo innalzati come segni di gioia e pace nelle nostre comunità, all’inizio della Settimana Santa, hanno indicato il bisogno, la ferma volontà e – direi – il coraggio della pace, per ritrovare il senso profondo del vivere e stare nuovamente insieme; così si è espressa una scelta che non è solo di fede ma anche culturale e sociale. La paura non dà lucidità, la paura non tutela una comunità, la paura non è mai proposta costruttiva».
Il coraggio della pace, come rileva il vescovo di Venezia, è frutto di un percorso culturale e morale, che deve tenere insieme svariate componenti: «In questi anni di cambiamenti epocali siamo chiamati a ripensare il contesto in cui viviamo. Si tratta di non considerar fra loro in modo conflittuale la “tolleranza” e la “passione per la verità”, la “tolleranza” e le “convinzioni profonde”. Bisogna nutrire un saggio amore per la propria identità e per la propria storia, senza chiudersi in se stessi, domandando a tutti il rispetto della legalità, il rispetto reciproco, l’impegno per il bene comune nel Paese in cui abitiamo; questo è il concreto e civico modo di tendersi la mano in una società sempre più articolata e multiforme».
Un saggio impasto per il bene comune: è quello che suggerisce il Patriarca: «Il pluralismo, che sempre più plasma le nostre società avanzate, di per sé non può esser considerato un elemento che mina alla base la vita delle persone o delle istituzioni sociali, politiche e religiose; certo, lo può diventare se è alimentato dalla deriva che riduce tutto a puro soggettivismo e se tutto appiattisce in un radicale relativismo. Ripeto che “tolleranza”, “passione per la verità”, “convinzioni profonde” e un saggio amore per la propria identità e storia non sono concetti antitetici fra loro ma, al contrario, devono integrarsi e fecondarsi reciprocamente».
Ma perché questa miscela virtuosa diventi efficace sarà fondamentale un “lievito” speciale: «La comunità cristiana, a Pasqua, deve far risuonare, con più forza, nel cuore dei suoi membri e nelle loro relazioni sociali, la buona notizia che Gesù è Risorto, vive in mezzo a noi, dona pace e speranza e con noi cammina lungo le strade della storia chiedendo di fare la nostra parte come credenti e cittadini. Il cammino del cristiano consiste, allora, nel liberarsi da ogni forma di paura per correre incontro al Signore risorto e vivo! Lasciamoci incontrare da Lui».