Tolle lege, “prendi e leggi” si sentì dire Agostino: e questo cambiò la sua vita. Ma, nel mondo di oggi, “il vero problema non è leggere la Bibbia, il problema è leggere!”, diceva padre Schökel.
Perché leggere la Bibbia se non si ama la lettura? Come si può amare l’avventura della lettura, che ci immerge in un mondo, se non si legge abitualmente? E come si apre la Bibbia, come ci si accosta alla Sacra Scrittura?
A tutte queste domande ha voluto rispondere l’incontro promosso martedì 2 ottobre dalla Scuola Biblica Diocesana e dal Consiglio Locale delle Chiese Cristiane di Venezia, che quest’anno festeggia i suoi venticinque anni d’istituzione. Teatro significativo di questa iniziativa la sala del consiglio della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista. Relatore il professor Jean Louis Ska, docente del Pontificio Istituto Biblico di Roma, che ha aperto il suo intervento proprio con le parole citate.
«Un tempo si vedeva la gente leggere in autobus o sul treno – dice padre Ska – ora invece tutti giocano col telefonino. Per padre Schökel chi non legge neanche romanzi non può saper apprezzare la Bibbia».
Il famoso biblista ha sottolineato la profonda differenza che intercorre tra leggere e guardare un film al cinema o alla televisione: ci vuole più tempo, ci si immerge in un mondo. Un brano di letteratura è una esperienza condivisa: il testo permette di trasmettere una esperienza ed è un invito per trasmettere la stessa esperienza.
La Bibbia è capace di questo. Padre Ska ha poi spiegato come avvicinarsi alla Bibbia in tre tappe: la prima riprende un detto del Talmud secondo il quale “la Thorah parla il linguaggio degli uomini, la lingua degli uomini”; ossia, se la Bibbia è mediata da un linguaggio degli uomini, questo comporta che si deve studiare e analizzare, considerando il suo contesto storico umano e la sua evoluzione.
In secondo luogo, il professor Ska ha sottolineato che «il racconto è il significato» e, citando il cardinale Martini, ha detto che «ci sono tre modi di leggere la Bibbia: il primo è quello del parroco, che legge pensando “che cosa dirò?”, e quando ha trovato qualcosa da dire non approfondisce; poi ci sono coloro che leggono la Bibbia nella meditazione e si domandano “cosa dice a me?”, e se non gli dice niente cercano altrove. Il terzo modo è quello di chiedersi “che cosa dice questo brano?”: e qui si aprono porte e finestre».
Procedendo verso la conclusione padre Ska, citando il titolo dell’autobiografia del direttore d’orchestra Riccardo Muti “Prima la musica poi le parole”, ha affermato che «il messaggio è nella musica, non in ogni nota, quindi il messaggio non è in ogni versetto. Per capire il brano bisogna collocarlo nel suo contesto, così come devo ascoltare tutta una sinfonia per poterla comprendere».
Per illustrare metodologicamente come avvicinarsi al testo, padre Ska ha presentato e commentato alcuni brani biblici, come la parabola lucana del figliol prodigo. Ha poi concluso citando come in apertura padre Schökel per il quale «La Bibbia contiene tanti spartiti che vanno interpretati: spetta a noi suonare e cantare».
Marco Zane