Lorenzo Manzoni e Matteo Gabrieli, i due diaconi della Chiesa veneziana in cammino verso l’ordinazione sacerdotale, sono tornati.
Il viaggio di rientro dal Kenya è stato, per la verità, inusualmente lungo e laborioso (per una serie di vicissitudini e problemi aerei e aeroportuali) ma da alcuni giorni sono di nuovo in Diocesi e già orientati al servizio nelle rispettive realtà pastorali loro assegnate: la parrocchia di S. Giovanni Battista di Jesolo per Lorenzo e la collaborazione pastorale di Favaro per Matteo.
Per quasi tre mesi, dal 14 dicembre all’8 marzo, hanno vissuto un’immersione nella vita africana e nell’esperienza ecclesiale della missione di Ol Moran guidata dal sacerdote mestrino “fidei donum” don Giacomo Basso.
La benedizione delle case, il contatto con le famiglie, le marmellate… Non si è trattato di un viaggio turistico o un’avventura missionaria ma, piuttosto, di un’esperienza prettamente pastorale, preziosa anche e soprattutto perché profondamente diversa da quanto si vive solitamente in terra veneziana. Si sono messi a servizio di quella realtà, spendendosi molto nella benedizione delle case in alcune zone della missione, avvicinando tantissime famiglie (che li facevano girare per ogni angolo del loro contesto quotidiano per far benedire proprio tutto, dalle singole stanze della casa al pollaio, dal granaio ai contenitori dell’acqua ecc.), e nel sostenere la vita quotidiana del locale orfanotrofio, stando vicini ai bambini lì ospitati e dando una mano per accudirli o farli mangiare e giocare.
Ma si sono pure dati da fare per “istruire” il nuovo sacrestano di Ol Moran su come si cura – sotto ogni aspetto – la sacrestia e la chiesa oppure per risistemare e rinnovare il sito della missione (Lorenzo) ed anche insegnare a trasformare in marmellate la tanta frutta, come il mango, spesso a disposizione (Matteo).
Quel sorriso sempre sulle labbra… Molte sono le immagini, le persone e le situazioni incontrate fissate nel loro cuore e nella loro memoria. «Mi ha colpito molto – osserva Matteo – la loro accoglienza e, soprattutto, il sorriso dei bambini e dei ragazzi presenti nell’orfanotrofio. Sono lì perché abbandonati, o con gravi difficoltà familiari e fisiche, e non hanno quasi nulla eppure hanno sempre il sorriso sulle labbra e per primi ti vengono incontro per giocare con te. Non hanno nulla, eppure hanno una grande voglia di vivere».
Lorenzo ricorda, in particolare, «una vecchina che siamo andati a trovare con le suore per portarle qualche piccolo aiuto: quando ci ha visti si è messa a ballare e cantare per la gioia». Non dimenticherà poi «un ragazzo malato, tutto paralizzato e rimasto solo in mezzo alla grande baraccopoli di Nairobi e che siamo andati a trovare e benedire». Emergono così, dai loro racconti, anche le disparità socio-economiche e le contraddizioni esistenti nel Paese africano, dalla notevole diseguaglianza in termini di ricchezza tra le diverse zone e classi alle forti differenze riscontrate tra il contesto urbano e quello rurale. Come pure la sfida, esistente ad ogni latitudine, di riuscire ad “inculturare” la fede cristiana e renderla significativa e capace di incidere nella vita, nella mentalità e nelle abitudini delle persone.
Una Chiesa in espansione, che cura l’accoglienza. Che impressione hanno ricavato dalla comunità ecclesiale incontrata a Ol Moran? «Ho visto – dice Lorenzo – una Chiesa giovane che vive, non senza contraddizioni e fatiche, un momento di espansione ed apertura e che cura fortemente la dimensione dell’accoglienza. È una comunità che partecipa con determinazione all’edificazione della Chiesa che, di sicuro, lì non è vista come un centro servizi… Penso alla presenza importante e feconda dei leader e dei catechisti incaricati dell’evangelizzazione, specialmente nelle zone più remote dove il prete può arrivare solo una volta al mese. C’è un forte senso di appartenenza e un grande desiderio di dare il proprio contributo per far crescere la comunità».
Per Matteo è stato bello vedere come le parole del Concilio Vaticano II sulla liturgia – “fonte” e “culmine” – nella comunità di Ol Moran diventino sperimentabili e ben visibili: “La liturgia è davvero fondamentale a Ol Moran. Non ci sono, evidentemente, tanti altri momenti in cui la gente possa ritrovarsi e allora la messa domenicale è la grande occasione d’incontro, è un’opportunità di catechesi e di formazione, è il giorno della comunità ecclesiale. Per noi, talvolta, facendo tante altre cose, la liturgia e la messa domenicale rischiano invece di essere solo una ciliegina sulla torta ma non il fondamento della nostra vita cristiana e dell’intera comunità ecclesiale».
Un’interruzione salutare, un annuncio di gioia. Lorenzo e Matteo, segnati e in qualche modo fortificati dalla singolare esperienza africana, si avviano adesso decisamente verso l’ordinazione sacerdotale. «Per me – afferma Lorenzo – è stata come un’interruzione rispetto all’ordinarietà, un’occasione per prendere un po’ le distanze dalla mia vita per rimetterla sotto lo sguardo del Signore, per arricchirla di nuovo entusiasmo ed ulteriori motivazioni. Un modo per ricordarmi che il sacerdozio non lo si vive per delle cose da fare ma sempre in un rapporto con il Signore che deve permanere sempre, al di là delle condizioni esterne in cui ministero viene esercitato».
Questi tre mesi in Kenya, aggiunge Matteo, «sono stati per noi un momento formativo. È stato importante vedere come questa comunità e queste persone vivono la fede e sarà prezioso per pensare e formulare il nostro ministero futuro. A me ha insegnato a puntare sull’essenziale e mi ha portato anche a rivalutare una modalità, quella della benedizione delle case, che può essere un’occasione immediata e molto semplice per incontrare le persone portando, anche solo con la presenza, un annuncio di gioia».
Alessandro Polet