Domenica 14 ottobre, alle ore 17, in Basilica di San Marco a Venezia, imporrà le mani su quattro seminaristi, ordinandoli diaconi. Gianpiero Giromella, Riccardo Redigolo, Marco Zane e Giovanni Carnio raccontano la loro vita e la storia della loro vocazione al
sacerdozio, che ora passa per la tappa del diaconato. Una veglia di preghiera, prima dell’ordinazione, si tiene sabato 13 alle ore 20.30, nella chiesa di San Giovanni Battista a Jesolo Paese. Qui di seguito la testimonianza di Riccardo Redigolo.
Avere tutto e sentire che non hai ciò che ti soddisfa davvero. Che pure esiste ed è una calamita irresistibile, piazzata appena fuori dalla porta.
È questa la percezione che ha condotto Riccardo Redigolo a dare una svolta alla propria vita, ascoltando quella che ha riconosciuto come la chiamata più bella: quella al sacerdozio.
Riccardo ha 30 anni e viene dalla parrocchia di San Giovanni Battista di Jesolo Paese, comunità che ha fatto nascere vocazioni, in questi ultimi anni, come probabilmente nessun’altra in Diocesi.
Architetto, una professione che c’entra con Dio. Diventa geometra e decide di continuare, andando allo Iuav di Venezia. Ne esce architetto e, superato l’esame di Stato, esercita la professione per tre anni: «Ho vissuto quegli anni della mia vita – riconosce oggi – realizzando i miei obiettivi. Il lavoro di architetto mi piaceva e mi sembrava un poter sviluppare un dono di Dio. Progettare vuol dire trasformare la realtà conservandola, senza sfruttarla, ma rendendola utile e confortevole per l’uomo».
In quegli anni Riccardo, collaboratore di uno studio ben avviato, collabora alla progettazione delle torri di Jesolo e di villaggi turistici, anche a Cavallino.
E gli va bene anche dal punto di vista affettivo: un rapporto lungo, bello e serio con una ragazza. Che volere di più? Ecco, qui sta la questione: «Alla parrocchia ho dato molto; nella mia giovinezza ho aiutato molto. E la parrocchia mi ha dato molto. Questo mi ha permesso di maturare l’idea che la mia vita non era piena se finalizzata solo a me o a pochi attorno a me. Ho capito che per la mia felicità non era sufficiente il pur bel rapporto con una ragazza e il matrimonio, ma volevo aprirmi a qualcosa di più. L’ho capito con il tempo, quando sono entrato in crisi con la mia ragazza. E questo nonostante il lavoro andasse a gonfie vele. Ma quando ti trovi ad avere tutto e a non sentire niente in mano e a non essere soddisfatto…».
«Dedicarmi tutto agli altri, una calamita». Qualche segnale concreto c’era: «Le mie due settimane di ferie d’estate le passavo ai campiscuola, pur condividendo queste esperienze con la mia ragazza, pur chiedendo che venisse anche lei. Ma c’era sempre l’attrazione per qualcos’altro, per i ragazzi da seguire, per dedicarmi tutto a loro».
Però non c’era la chiara idea di voler diventare sacerdote. «Lì sono stato aiutato», riconosce oggi Riccardo.
Due i segni che oggi sottolinea: «Il primo è la mia famiglia. Quando mi hanno visto in crisi, che mi ero lasciato con la ragazza, mi hanno detto: che cosa succede? La mamma soprattutto. “Stai pensando a qualcos’altro?”, mi ha detto. Non me l’ha chiesto esplicitamente se volevo entrare in Seminario, ma me l’ha fatto capire».
Il secondo segno ha il volto di un amico: «Quando don Morris Pasian, anche lui di Jesolo – e insieme al quale ho vissuto l’adolescenza – è stato ordinato, mi sono chiesto: come può questo ragazzo, che ha detto no a tantissime cose, essere felice da prete? Perché fino a quel momento io vedevo il sacerdozio con simpatia, ma non capivo tante rinunce che la scelta comporta. Ma il giorno dell’ordinazione di Morris mi ha colpito vedere questo ragazzo felice e soddisfatto. Poi lui, che intuiva che avevo vagamente in me la vocazione, mi ha semplicemente detto: “Fidati. Fidati come sto facendo io, lasciati andare”. Sarà stata quella frasetta, fatto sta che ho avuto un aiuto. È stata la spinta giusta per trovare il coraggio di fare la scelta».
Giorgio Malavasi