Si erano confrontati mesi fa sull’intersezione tra misericordia e giustizia, ora si sono cimentati sulle tematiche delicatissime del fine vita. A provocare il nuovo dialogo tra il Patriarca Francesco e il Procuratore Adelchi d’Ippolito è stata la Società Italiana di Neurologia impegnata sabato scorso a Mestre, al Padiglione Rama dell’Ospedale dell’Angelo, nel convegno triveneto dedicato alle cure palliative e ai tanti aspetti che si incrociano sul fine vita.
Per il magistrato Adelchi d’Ippolito “principio ineludibile, in una visione giuridica, è l’autodeterminazione. La libertà, per un giurista, è un valore assoluto. Al cittadino, al paziente, è lasciata piena libertà di scelta e il diritto del medico a curare trova dinanzi un ostacolo insormontabile se c’è il dissenso del paziente alla cura. Il medico che opera contro la volontà del paziente commette un reato. Importante, però, è che ci sia l’attualità del consenso. Il consenso deve essere presente al momento della prestazione; non basterebbe un consenso raccolto all’inizio della cura”.
Il Procuratore sottolinea che è compito del legislatore “farsi carico di tutte le diverse posizioni, garantire che le libertà possano trovare una giusta tutela giuridica e si possano realizzare al di là delle convinzioni ideologiche o di fede”. E questo perché “non è il legislatore del credente o del non credente, del buono e o del cattivo; è il legislatore di tutti, si deve fare carico di un’intera collettività e far sì che ognuno possa vivere secondo le proprie scelte che passano attraverso un percorso diverso per ognuno e che merita rispetto”.
Per d’Ippolito “l’ordinamento giuridico non garantisce un diritto a morire ma, nello stesso tempo, c’è un altro diritto che l’ordinamento non solo riconosce ma ribadisce con determinazione ed è il diritto a rifiutare le cure. Il dissenso del paziente estingue ogni obbligo in capo al medico. Questa cosa, forse, non ci piace ma il legislatore non lascia alternative”. Per il Patriarca sulle tematiche del fine vita si deve comprendere che “è in gioco l’uomo, la persona concreta del paziente e del medico”. La vita umana è “un bene primario”, come la salute, ma entrambi “non sono beni assoluti e non sono dati in modo definitivo”.
In chiave teologica, anzi, “posso offrire la mia vita per una causa degna e so che, testimoniando, posso rischiare di essere oggetto di ritorsioni”. Invoca “un rapporto umano, un’alleanza, un rispetto reciproco tra medico e paziente”, evidenzia l’importanza di riconoscere limiti e fragilità umane, di saper accompagnare e incoraggiare nelle scelte non lasciando soli il paziente e la sua famiglia ed evitando il doppio rischio dell’abbandono o dell’accanimento terapeutico.
“L’autodeterminazione – ha continuato – è importante, però già Kant e Nietzsche si interrogavano se essa coincida o meno con la libertà della persona. Ogni scelta ha dei contenuti, nasce da un progetto e da un valore, deve tenere conto di ciò che è indisponibile. La mia scelta libera è fatta da un’infinità di cose, la decisione va preparata, accompagnata, accudita. La libertà è una fatica, non è semplicemente libertà “da” ma è libertà “per”… Nello scegliere esprimo sempre qualcosa della mia libertà”.
Nel giro finale emergono anche le “raccomandazioni” offerte dai relatori al legislatore che, in queste settimane, tratta questi temi. D’Ippolito: “Auspicherei una buona legge che assicuri scelte consapevoli e fatte in piena libertà, senza opzioni ideologiche né pregiudizi… Una legge che abbia attenzione e rispetto verso l’obiezione di coscienza, posizione seria e di grande nobiltà, che non può essere liquidata con facilità dicendo che è un fatto di fede. In tanti anni di indagini ho verificato che la percentuale di obiettori è vasta e ben superiore a quella del numero dei credenti”.
Moraglia: “Ai politici direi che non abbiano fretta e facciano una buona legge, senza rimandare o accelerare per convenienza politica”.
Alessandro Polet