«L’immagine del chicco di grano che muore rende al meglio gli ultimi anni della vita terrena di don Ezio che oggi, nella fede, affidiamo al Signore Gesù, vincitore della morte».
Lo dice il Patriarca nell’omelia delle esequie, celebrate in mattinata nella chiesa di San Martino a Burano, di mons. Ezio Memo, mancato il 30 dicembre, all’età di 86 anni.
«Il nostro commiato avviene in questa chiesa arcipretale – rileva il Patriarca – molto cara a don Ezio, la chiesa del suo battesimo». E mons. Moraglia richiama un passaggio cruciale della vita sacerdotale di mons. Memo: «Scrisse durante l’Anno Sacerdotale indetto da Papa Benedetto XVI un breve testo, datato 31 luglio 2009, festa di sant’Ignazio di Loyola. In questo testo riporta una frase del colloquio che ebbe con l’allora patriarca Angelo Giuseppe Roncalli, il giorno successivo l’ordinazione: “Si ricordi – disse Roncalli – che è diventato prete non per se stesso, ma per gli altri, come il Signore Gesù non è venuto per essere servito ma per servire”. E il commento di don Ezio è chiaro: “Farsi prete dovrebbe comportare, nella più totale disponibilità, l’essere il servo, l’amico, il fratello di ogni uomo per aiutarlo nel difficile e faticoso cammino dell’esistenza”. Rimarco – prosegue il Patriarca nell’omelia – quanto egli stesso volle precisare: “Ho usato – scrisse don Ezio – un verbo al condizionale: ‘dovrebbe’, perché anche il prete è un uomo, è un povero uomo, che sperimenta nella sua propria carne, nonostante abbia ben presente l’ideale, la finitudine di ogni essere umano: fragilità, incoerenza, incostanza ed anche peccato”».
In queste parole sta il senso ultimo dell’impegno presbiterale di don Ezio, per una vita al servizio per la Chiesa di Venezia: «Dove veniva mandato, don Ezio sapeva di non trovarsi per caso ma perché inviato da Gesù di cui sempre desiderò essere segno trasparente, semplice, credibile. Il sì detto nel momento dell’ordinazione, il prete lo testimonia, ogni giorno, nel ministero, con le sue scelte, le sue parole, lo stile della vita. Le promesse sacerdotali “costruiscono” l’io del prete; il suo sì, il prete lo testimonia lasciandosi condurre dove il Signore vuole sull’esempio del sì di Maria, la madre dell’eterno Sacerdote».
Il Patriarca richiama anche come esemplare l’ultima stagione, quella della fatica per l’età e la malattia: «Soprattutto da quando aveva lasciato gli incarichi pastorali per ritirarsi qui – nella sua amata isola di Burano – don Ezio era stato, in modo ancora più intenso, visitato da questo scomodo ospite che ha nome “dolore” e che ci rende partecipi della fecondità del Crocifisso-risorto; sperimentò così, in sé e fino in fondo, la Parola di Dio che attesta il travaglio della redenzione: “…gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Rm 8, 23)».
«Ringraziamo – con don Ezio – il Padre celeste per il dono del sacerdozio», conclude il Patriarca Francesco: «Ho ricordato quanto il Patriarca Roncalli disse a don Ezio in occasione dell’ordinazione: il prete è l’uomo per gli altri ma, per essere tale – e lo capiamo bene! – deve appartenere solo a Dio; ecco il senso ultimo delle promesse sacerdotali, l’obbedienza e il celibato vissuti con libertà, responsabilità e gioia. Come traspare anche dal suo testamento spirituale, don Ezio fu sempre conscio e grato al Signore del dono ricevuto e visse il sacerdozio come la via che si percorre con amore, trepidazione e gratitudine a Dio».