Gioia, gratitudine, timore. «Provo gioia e gratitudine vedendo il percorso della mia vita, vedendo come Lui mi ha cambiato. Ma c’è anche un po’ di timore, di fronte a un passo come questo uno scopre le proprie fragilità».
Così don Francesco Andrighetti sintetizza le emozioni vissute in queste ultime settimane d’attesa, alla vigilia dell’ordinazione presbiterale che si terrà in San Marco sabato 23 giugno.
Nell’occasione, per le mani del Patriarca Francesco, diverrà prete della Chiesa di Venezia, insieme a Steven Ruzza (un’intervista a don Steven è anch’essa in genteveneta.it).
«Quando uno fa una scelta come questa, va in profondità e scopre tutto ciò che è. C’è un po’ il timore di non essere all’altezza. Però – sottolinea – quello che mi consola tanto è che in passato il Signore è stato fedele, nel senso che non mi ha mai fatto mancare niente. Confido che questa fedeltà resti. E’ a partire da questa certezza che sono capace di stare di fronte a tutto ciò che io sono, sebbene questo mi faccia un po’ paura».
Come è nata la tua vocazione?
La mia vocazione è nata in famiglia. Se devo dire dove Dio ha parlato nella mia vita e nella mia storia, è nel volto di mio padre e di mia madre. Io sono stato adottato e questo per me è stato un grande gesto d’amore, al di là della possibilità di vita che i miei genitori mi hanno dato, mi hanno insegnato a non vivacchiare, a capire bene cosa significano certi fatti della vita. Questa è la cosa più bella che mi hanno insegnato i miei genitori. Mi hanno sempre detto che la mia presenza qui con loro era un atto d’amore di Dio, per me Dio ha sempre avuto dei volti concreti fin dall’inizio. Non è mai stata un’astrazione è sempre stato un Dio che salva, che sta vicino, che tocca la carne.
Ma quando hai avvertito il desiderio di diventare sacerdote?
Mio padre e mia madre dicono che fin da bambino era nato in me questo desiderio. Poi crescendo, ho fatto la vita di un qualsiasi liceale… Solo alla fine del liceo sono entrato in seminario, ma con un po’ di paura. Non ero troppo sicuro, avevo anche una fidanzata. C’è però stato un fatto che mi ha portato a decidere. E’ stato l’incontro con un sacerdote di Comunione e Liberazione, spagnolo. Ho avuto con lui una chiacchierata, durante una vacanza. Mi ha detto: “Se tu vuoi capire cosa il Signore vuole da te, se hai questo desiderio, questa domanda, l’unica cosa che puoi fare è stare di fronte a questa domanda. Non puoi fuggire. Uno può avere tanti dubbi, tante incertezze, però se il Signore ha messo nel cuore questa domanda non puoi fare finta che non ci sia. Poi puoi comprendere che non è la tua strada, ma se vuoi essere in pace devi starci di fronte, sebbene non sia facile, perché puoi avere altri progetti e anche altre persone possono avere progetti su di te”. Infatti con la mia famiglia all’inizio è stato un po’ faticoso… Ma ciò che mi ha detto quel sacerdote è stato fondamentale: “Devi stare di fronte a ciò che Dio fa capitare, ciò che fa nascere nel cuore”. E così è stato.
Dove stai svolgendo servizio, ora?
Sono in parrocchia al Lido a Santa Maria Elisabetta, svolgendo servizio per tutta la collaborazione pastorale dell’isola. Inoltre insegno religione al Cif, all’Istituto sportivo Marinelli, a tutte le classi. E sto concludendo gli studi all’università, studio Filosofia e ormai sono quasi al termine del percorso di laurea.
Come ti vedi, come futuro sacerdote?
Ho detto più volte ai miei superiori e al mio vescovo che sono disposto a tutto, persino alla missione. Di certo mi piace studiare, non lo voglio negare, credo anche di essere portato. L’ambito educativo mi appassiona molto, ma lo farei in quanto prete. Prima dell’ingresso in seminario pensavo di fare medicina, quindi pensavo a tutt’altro. Mentre la passione per l’educazione è nata proprio con la vocazione sacerdotale. A prescindere da dove, a me piacerebbe insegnare, lo vedo legato alla mia vocazione. Anche quando vado all’università ci tengo ad andare vestito da prete, perché sono lì in quanto prete. Non nego la passione per lo studio, ma non mi penso chiuso in biblioteca, in un’attività fine a se stessa. Ho bisogno del contatto umano. Se ci fosse la possibilità di mettere assieme le cose, ne sarei felice.
Dunque ti piacerebbe insegnare?
Sì. Uno dei miei sogni sarebbe quello di continuare a insegnare, non solo religione, ma anche filosofia. L’ambiente della scuola è molto faticoso, ti domanda tutto, perché l’educazione chiede tutto. Trovo tante situazioni difficoltose, giovani lasciati da soli. Vedo giovani affaticati, già stanchi, già annoiati, senza alcun tipo di passione e questo secondo me nasce dall’ambiente in cui crescono. Per me l’educazione è far vedere che c’è una possibilità di vita. La scuola dovrebbe offrire questo.
Quale rapporto hai con le associazioni, con i movimenti? Cosa ha significato e significa per te in particolare Cl?
Io vengo dall’ambiente della parrocchia, anche se la mia fede ha avuto una svolta con l’incontro con Comunione e Liberazione nell’ultimo anno del liceo. Un incontro che mi ha portato a fare delle scelte, quello con il movimento di don Giussani è stato un legame decisivo per me in questi anni. Sono iscritto alla fraternità di Cl, sono legato soprattutto alla comunità degli universitari. Poi ho incontrato tanti mondi diversi stando in parrocchia, soprattutto quello degli scout che era un mondo che non conoscevo e che credo abbia delle potenzialità grandi, che alcune volte secondo me non sono sfruttate al massimo. Penso che ci vorrebbe una maggiore presenza da parte degli assistenti spirituali: quando mancano, è un’assenza che si percepisce subito. Così come si percepisce la presenza quando ci sono. Lo scautismo potrebbe sopravvivere anche senza la fede, ma se vuole davvero andare al fondo della propria esperienza ci vuole l’elemento di fede. E per questo, secondo me, è necessario che ci sia la presenza dell’assistente, più che nelle attività, nel rapporto con i capi. Dovrebbe esserci un rapporto reciproco: i capi più presenti nella vita della comunità e il parroco, o il sacerdote, più presente nel rapporto con i capi.
Quale ruolo dovrebbe avere, secondo te, la donna nella Chiesa?
Il genio femminile è decisivo per l’umanità e quindi anche per la Chiesa. Credo che purtroppo il genio della maternità di questi tempi si sia un po’ perso. Parlo di maternità anche non biologica, che si può esprimere in tanti modi. Quando si parla di questi temi non bisogna mai confondere la pari dignità con l’avere le stesse funzioni, ognuno esprime la propria dignità portando a compimento la propria vocazione, che è differente. La vocazione comprende tutta la persona. Se la donna viene meno a ciò che lei è crea confusione, nella storia e nella Chiesa. E poi penso alla figura della Madonna: non è scontato che sia una donna a mostrarci la certezza della vita cristiana, la nostra speranza. E’ lei a mostrarci la vita cristiana come possibile. Ed è una donna a mostrarcelo, credo proprio per questo suo genio che si esprime nella maternità.
Arrivato al termine di questo percorso, chi ti senti di ringraziare?
Ringrazio la mia famiglia e i tanti sacerdoti che mi hanno accompagnato, mons. Angelo Centenaro, don Raffaele Muresu, don Fausto Bonini, don Gilberto Sabbadin, don Gianni Bernardi. E inoltre ringrazio don Giacinto Danieli, al quale sono molto legato perché mi ha accompagnato fin dall’inizio. Un grazie al Seminario per quello che ha fatto per me, pur avendo anche sofferto in questi anni, perché il Seminario è un luogo di vita piena dove si cresce, si scherza, si soffre, si piange, dove non manca nulla di quello che è la vita. Sono molto legato e affezionato al Seminario, che è un luogo a cui ho voluto bene e a cui sono grato. Sono grato innanzitutto ai due vescovi, il card. Scola prima e poi il Patriarca Francesco, e ai due rettori, don Lucio Cilia e adesso don Fabrizio Favaro. Vorrei dire a tutti di non spaventarsi di fronte alla possibile chiamata del Signore, il Signore chiama e non bisogna aver paura. Fare finta che questa domanda non ci sia fa venire meno il disegno di bene di Dio per la Chiesa, per la propria storia, per la propria vita. Oggi si parla poco di vocazione nelle parrocchie, si parla di tante cose, ma non di progetti di vita, di qual è lo scopo della vita. Ci tengo come prete, io già nell’attività che faccio ci torno spesso e mi riprometto di farlo ancora di più. Ai giovani dico di non aver paura di fare scelte forti, radicali, incisive.
Serena Spinazzi Lucchesi